5 luglio 2012
Il 5 luglio è stata una giornata di celebrazioni in Algeria per festeggiare i cinquant’anni dell’indipendenza dalla Francia, proclamata il 5 luglio del 1962. E per ricordare il primo luglio1961, quando sei milioni di algerini votarono in massa per l'indipendenza, dopo 132 anni di permanenza francese e dopo la guerra più sanguinosa della decolonizzazione africana. De Gaulle proclamò l’Algeria indipendente il 3 luglio, però il governo provvisorio algerino scelse il 5 luglio come giorno dell’indipendenza, per ricordare l’anniversario della presa di Algeri da parte delle truppe francesi avvenuta appunto il 5 luglio del 1830.
La lotta armata era iniziata nel novembre del 1954, nell’ambito del risveglio del nazionalismo arabo alla fine della seconda guerra mondiale. Dopo anni di guerriglia, gli indipendentisti algerini dal 1958 in poi cominciarono a organizzare attentati terroristici in Francia, scatenando una repressione francese ancora più selvaggia. Nel 1961 il presidente francese Charles de Gaulle iniziò a trattare con i capi del Fronte di Liberazione Nazionale algerino (FLN), e con i negoziati di Evian cessarono le ostilità.
Si gettarono così le basi per l’indipendenza dell’Algeria, che era già stata dichiarata “Francia d’Oltremare”, e parte integrante della repubblica francese. Vi vivevano in effetti un milione di coloni francesi, i pieds-noirs, stanziatisi nel paese fino dai tempi di Napoleone III, con radici economiche ed affettive nella terra in cui erano nati e che consideravano di loro proprietà. Ma, nonostante la versione ufficiale di Parigi, la popolazione araba (sette milioni) viveva in condizioni di permanente inferiorità politica, sociale e giuridica nei confronti dei coloni francesi.
La Francia ha organizzato quest'anno al National Army Museum di Parigi la mostra “Algeria 1830-1962” (aperta fino al 29 luglio 2012), sulla dominazione coloniale. Ma sembra aver dimenticato i crimini più efferati della polizia francese e dell’OAS (Organisation de l’Armée Secrète) e, nonostante qualche foto di attivisti del FNL torturati, non dà una rappresentazione completa di quegli anni; insiste invece sugli aspetti positivi del colonialismo.
Certamente entrambi gli schieramenti compivano atrocità, ma le “azioni” contro la popolazione algerina non venivano considerate crimini, e l’FLN rispondeva alla repressione in modo sanguinario e con attentati, che venivano chiamati “atti terroristici”.
Così l’OAS, società segreta paramilitare, (alla quale aderirono molte personalità dell’esercito francese, la Legione Straniera e i famigerati paras, le unità di paracadutisti) rispose con le torture sistematiche e il terrorismo anche contro patrioti e popolazione civile. Finchè nel 1958, un putsch di generali, guidati da Massu e Dalan, non provoco' la caduta della Quarta Repubblica. E arrivò De Gaulle.
La realtà: oltre un milione e mezzo di algerini morti durante oltre un secolo di dominazione francese, sotto i bombardamenti aerei o “rastrellati” dai militari; centinaia di migliaia di persone torturate; due milioni di algerini prelevati in città e villaggi sperduti, poi rinchiusi in campi di concentramento; episodi atroci come gli algerini impiccati dalla polizia francese agli alberi del Bois di Vincennes; molti algerini gettati nella Senna e lasciati annegare; migliaia di persone stipate negli stadi sportivi, torturate e obbligate a bere candeggina; più di duecento persone uccise in un solo giorno a Parigi nell’ottobre del 1961; intere famiglie fatte espatriare con la forza e costrette a lavorare in Francia per la ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, anche dopo l’indipendenza.
Tutto questo mentre la stampa ufficiale taceva, o relegava le notizie nelle ultime pagine.
Basterebbe rileggere “La question”, di Henri Alleg (1958, les Editions de Minuit) per capire l’entità della repressione e delle torture.
E’ significativo anche quanto dichiara la Commissione Bonet (Rapporto sull'Algeria della commissione d'inchiesta nominata dal re di Francia e presieduta dal generale conte Bonet nel 1833):
"Abbiamo aggregato al demanio i beni delle fondazioni pie; abbiamo sequestrato quelli di una classe di abitanti che avevamo promesso di rispettare; abbiamo dato inizio al nostro potere con un'esazione (un prestito forzoso di 100.000 franchi); ci siamo impadroniti delle proprietà' private senza alcun compenso e il più' spesso siamo giunti fino a costringere i proprietari espropriati a questo modo a pagare le spese di demolizione delle loro case ed anche di moschee. Abbiamo dato in affitto a terzi edifici del demanio; abbiamo profanato senza riguardo i templi, le tombe, l'interno delle case private, sacro asilo presso i musulmani. Si sa che le necessità' della guerra sono alcune volte prepotenti, ma si possono trovare, nell'applicazione di misure estreme, forme delicate ed anche di giustizia... Noi abbiamo massacrato gente protetta da salvacondotti, sgozzato in base ad un semplice sospetto popolazioni intere la cui innocenza fu in seguito provata; abbiamo trascinato in giudizio uomini ritenuti sacri nel paese, uomini venerati perché avevano abbastanza coraggio per sfidare i nostri furori allo scopo di intercedere in favore dei loro disgraziati compatrioti; si sono trovati giudici per condannarli e uomini civilizzati per ucciderli. Abbiamo sorpassato in barbarie i "barbari" che eravamo venuti a civilizzare." ( Processi verbali e rapporti della commissione nominata dal re, Parigi 1933, da R Rainiero, Storia dell'Africa, Torino, ERI, 1966, pp. 109-110)
Per Boukhalfa Amazit, giornalista ed esperto di fenomeni storici, gli algerini si riappropriano finalmente della loro storia. Già all’indomani dell’indipendenza nazionale le autorità hanno eliminato personaggi, date, episodi, manipolato la storia, diventata prigioniera dei “funzionari della verità”, chiamati così da Ben Khedda. Uomo politico algerino tra i capi più impegnati e influenti della rivolta, Ben Khedda racconta che nel 1976 il presidente Boumedienne aveva chiesto a storici e ricercatori del CNEH (Centro nazionale degli studi storici) di non citare i nomi di Abdelkader, Ben Badis, Messali, Ferhat Abbas …
(fonti : La Repubblica - El Watan.com, 08/07/2012 « 50e anniversaire de l’indépendance de l’Algérie » - Mondo, 06/07/2012 « A cinquant’anni dall’Indipendenza dell’Algeria, la Francia nega ancora i suoi crimini”)
Anche Attilio Gaudio ha partecipato con le sue armi di giornalista e scrittore alla lotta del movimento nazionalista algerino, con cui ebbe i primi contatti nel 1952. Tanto che il 23 gennaio 1962 fu vittima di un attentato dinamitardo dell’OAS nel suo appartamento parigino. Fortunatamente non era in casa.
Quella notte, i commandos di Pierre Sergent colpirono con atti terroristici altri dodici giornalisti francesi liberali e progressisti (A.Gaudio: Una vita nel ciclone della storia – Dalla lotta partigiana al Terzo Mondo, L’Harmattan Italia, Torino 1998, pag 202). Eppure quattordici anni dopo Gaudio ha rischiato di essere arrestato dalla polizia algerina!
L’agenzia ANSA l’aveva spostato dall’Africa Nera al Maghreb, con sede ad Algeri. Erano tempi difficili, anche dal punto di vista politico, per la questione dell’ex Sahara spagnolo e i Sahraui rifugiati a Tindouf. Però era stato il Governo algerino ad appoggiare la nomina di Gaudio, pur conoscendone la posizione favorevole alle tesi marocchine.
Nel frattempo il Fronte indipendentista Polisario si stava organizzando ad Algeri per preparare l’offensiva militare contro le forze marocchine. La situazione canbiò rapidamente: arresti, espulsioni, interrogatori, pedinamenti, bagagli sventrati all’aeroporto dai servizi di sicurezza, che vedevano spie e nemici dappertutto. I giornalisti stranieri accreditati non resistevano più di tre mesi, temevano di essere scaraventati su un aereo verso l’Europa, come successe al corrispondente della Reuter.
Il ministro degli Esteri Ibrahimi odiava Gaudio non solo per la sua amicizia per il Marocco, ma soprattutto per le sue simpatie per i capi storici dell’FLN in esilio o che erano stati assassinati per i giochi di potere interni. Così Gaudio nel 1976 fu arrestato dalla polizia politica, condotto alla direzione generale della sicurezza, interrogato, condotto all’aeroporto ed espulso senza poter passare in ufficio per prendere valigia ed effetti personali. Con grande amarezza.
Gaudio conclude così il suo racconto (pp.213-218):
“Il Commissario di Polizia all’aeroporto di Algeri mi conosceva per aver letto il mio libro sulla vita di Allal El Fassi e sulla storia dell’Istiqlal, il partito indipendentista marocchino. Mi accompagnò senza manette, com’era d’uso, fino alla passerella dell’aereo per Parigi e prima dell’imbarco mi tese la mano e mi disse: “Spero che lei capirà che io eseguo degli ordini e che questi ordini non sarebbero mai stati miei.”
Mila C.G.