Tombouctou, manoscritti in cenere?

11 febbraio 2013

Mentre le truppe francesi e maliane sono arrivate il 28 gennaio a Tombouctou e il 30 gennaio a Kidal, 1.500 chilometri a nord-est di Bamako, sono ripresi oggi 11 febbraio 2013 (notizia ASCA-AFP) i combattimenti nella citta' di Gao. Qui l'esercito governativo aveva occupato l'aeroporto il 26 gennaio e bombardato il commissariato di polizia locale, in cui si erano asserragliati alcuni gruppi di islamisti. Ma oggi, dopo un attacco rivendicato dal gruppo islamico-radicale dei Mujao (il Movimento per l'Unita' e la Jihad in Africa Occidentale), esplosione di mine, due suicidi , e il riaccendersi in mattinata degli scontri tra  guerriglieri islamici e soldati maliani, da Gao sono stati evacuati i giornalisti.

 

''Abbiamo creato una nuova zona di conflitto e organizzato attacchi a convogli anche con kamikaze'', ha affermato il portavoce dei Mujao, Walid Sahraoui, in una nota inviata all'AFP. Le forze jihadiste sono fuggite verso il deserto e il confine con l'Algeria, e la guerra si sta spostando verso l’area montuosa dell' Adrar des Ifoghas, nella parte nordorientale del Mali. E' la zona che i Tuareg occupano e conoscono molto bene da sempre. Qui nei giorni scorsi l’esercito francese ha attaccato con numerose escursioni aeree alcuni accampamenti e depositi di armi dei ribelli, con l’aiuto dei soldati del Ciad, esperti di guerre nel deserto. Ed è qui che sono tenuti in ostaggio i sette francesi rapiti prima dell’intervento militare.

 

Ma qual è la sorte dei prezioni manoscritti del deserto? Anche qui le notizie sono contrastanti. 

Secondo Shamil Jeppie, responsabile delle collezioni presso l'Universita' di Cape Town (ASCA-AFP da Johannesburg, 30 gennaio), "la maggior parte, oltre il 90%, dei preziosissimi manoscritti di Tombouctou si e' salvata dal rogo appiccato dai jihadisti islamici in fuga dal nord del Mali".

Da fonte maliana si apprende che il 95% degli oltre 300.000 manoscritti è "sano e salvo".

E Muhammad Maouloud Ramadan, responsabile delle relazioni esterne del movimento  dei tuareg separatisti (Mnla, Mouvement National de Libération de l’Azawad, che il 6 aprile 2012 ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza dal Mali) chiede all'Onu e all'Unesco di "formare una commissione d'inchiesta indipendente per svelare le cause dell'incendio all'Istituto Ahmed Baba a Tombouctou e chi l'abbia provocato". In un'intervista al sito di notizie mauritano 'Sahara Media', Ramadan ha accusato "l'esercito maliano e i loro alleati in citta'" di aver provocato l'incendio all'istituto. "Gli islamisti non possono aver bruciato il centro Ahmed Baba, poiche' in esso sono conservati manoscritti che trattano di sharia e di diritto islamico", ha affermato Ramadan, sottolineando che "se avessero voluto darlo alle fiamme, l'avrebbero fatto molti mesi fa". Si sarebbero perdute circa duemila opere, mentre il grosso della collezione si sarebbe salvata grazie anche all'operato preventivo dei curatori che, dopo la presa della città da parte dei ribelli islamisti, ha nascosto gran parte delle opere in luoghi sicuri.

 

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'autrice, un articolo di Elisa Pelizzari (L'Harmattan-Italia, Torino) pubblicato su Il Manifesto, 25 gennaio 2013, con il titolo: BRUCIA LA BIBLIOTECA CON I SUOI PREZIOSI TESTI?

I manoscritti del Sahara dal restauro alla cenere

"A rischio migliaia di documenti

che rivelano ciò che le cartine coloniali occultano

di Elisa Pelizzari

Fonti locali affermano che nella città di Timbuctu - alle cui porte si trovano ormai le truppe franco-maliane, inviate a liberare l'Azawad nell'ambito della missione militare «Serval» - uno degli edifici volti a ospitare i cosiddetti «manoscritti del Sahara» sarebbe stato incendiato dalle milizie islamiste in fuga (Afp, 28-1-13). Non è la prima volta che, fra le sabbie del Mali settentrionale, attualità politica e memoria storica si affrontano. E non è neppure inedito lo scontro fra due anime della fede musulmana: quella jihadista e quella sincretica. Alla prima si richiamano movimenti come Ansar Eddine o Mujao, prossimi ad Al-Qayda Maghreb, ma con distinzioni di ordine personale, sulle quali si gioca la carriera dei signori della guerra, avidi di protagonismo. Tali formazioni promuovono (o, meglio, tentano d'imporre) una confessione di stampo salafita, fautrice sia di un'interpretazione letterale e destoricizzata del Corano, sia di un'applicazione acritica della sharia. Alla seconda si legano le scuole coraniche tradizionali (con le loro antiche biblioteche colme di testi pluricentenari), il culto dei santi locali, la mistica sufi e una serie di pratiche magico-terapeutiche.

Perché libri di argomento teologico, giuridico, grammaticale attirano l'ira delle bande armate? Cosa si cela nel sapere islamico elaborato nell'Africa saheliana, a partire dall'XI secolo e sino all'era coloniale?

Come spiega l'antropologo e giornalista Attilio Gaudio nel volume Les bibliothèques du désert. Recherches et études sur un millénaire d'écrits (L'Harmattan, Paris, 2002), i manoscritti conservati in varie città del Sahara e del Sahel - da Smara, a Chinguetti, Ouadane, Tchitt, Oualata e Timbuctu - sono opera di letterati, filosofi, studiosi di diritto islamico, viaggiatori e saggi di epoca diversa, appartenenti ai gruppi etnici di cultura nomade o alle popolazioni sedentarizzate che abitano le distese desertiche dell'Africa occidentale.

Redatti principalmente in arabo, ma vi sono pure testi in lingua berbera e in peul, tali preziosissimi, quanto fragili, documenti - sono migliaia - attestano non solo della vetustà dell'islam nella regione, ma soprattutto di una consuetudine autoctona alla riflessione su temi di ordine teologico, storico e sociale intorno ai quali, per secoli, si è dibattuto e che, man mano, si è voluto mettere per iscritto.

Insomma, le biblioteche del deserto contestano la visione secondo cui la cultura africana si sarebbe tramandata, in maniera quasi esclusiva, per via orale; nello stesso tempo, aprono uno squarcio sul punto di vista «dell'altro», rivelando quanto le carte coloniali non raccontano.

Sembrerebbe dunque il disprezzo (o forse si tratta di timore?) nei riguardi di un patrimonio che esalta la libertà di pensiero e il raziocinio umano a spiegare il comportamento delle milizie jihadiste. Eppure, è proprio attraverso la scrittura che «il messaggio», ivi compreso quello divino, è stato trasmesso agli uomini, come dimostra l'esistenza stessa del Corano. Ma vi è di più: la trascrizione del testo sacro ha dato luogo, nel tempo, a un'arte, la calligrafia, il cui esercizio si è trasformato in atto di devozione per i fedeli che la padroneggiano. Come non condannare, allora, quei «poveri di spirito» che, col fuoco, e in nome di un islam che non è più tale, inceneriscono libri che testimoniano della volontà dei sapienti del passato di analizzare il mondo creato dal Signore, d'interpretare la parola di Dio e di metterla in pratica a beneficio della umma?"

 

L'articolo dell'antropologa evidenzia l'importanza di questo patrimonio, fondamentale per la memoria dell'avventura umana. Dopo tanti "crimini culturali", perpetrati anche dall'occidente, nel corso della nostra storia antica e moderna, che hanno portato alla scomparsa non solo di beni materiali (monumenti, libri, opere d'arte, oggetti di culto e di vita quotidiana ...) ma anche di religioni, idee, lingue, tradizioni, invenzioni, abilità, etnie, genomi ..., non possiamo rimanere indifferenti: salviamo le biblioteche del deserto.

E' un appello che rivolgiamo a chi ama l'Africa, i libri e la storia.

Mila C.G.

 

 

La moschea di Sankoré,. che fu sede della celebre università del Medioevo (archivio A.G.)

 

 

(particolare di una moschea)

 

 

 

 

 

Antichi manoscritti

(archivio A.G.)

 

 

 

 

Foto Luc Gnago, Reuters

(30 gennaio 2013)

 

 

 

 

 

 

Abdel K. Haidara, proprietario della più ricca biblioteca privata di Tombouctou

(archivio A.G.)

 

 

 

 

 

 

 

Tombouctou, la moschea Djngareyber (XIV secolo) i cui minareti sono stati restaurati dall'Unesco

(archivio A.G.)

 

 

 

 

 

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