Le elezioni presidenziali in Costa d’Avorio, rimandate più volte per cinque anni, hanno finalmente avuto luogo alla fine del 2010. Ma l’esito è ancora incerto. Dopo il ballottaggio del 28 novembre, il presidente uscente, Laurent Gbagbo, contesta i risultati che danno per vincente Alassane Ouattara con il 54% dei voti, e chiede il riconteggio dei voti. Entrambi hanno prestato giuramento, e il paese avrebbe due presidenti. In realtà è ancora spaccato in due. Eppure i risultati delle elezioni sono certificati dalle Nazioni Unite e riconosciuti dalla comunità internazionale e da osservatori sia africani che occidentali.
Ma l’altra faccia della realtà è questa: oltre duecento morti da metà dicembre, case bruciate e saccheggiate, capitale in parte sotto assedio, tensione alle stelle in tutto il paese. Le vittime sono soprattutto i partigiani di Ouattara, uccisi dalle Forze di Sicurezza (FDS) fedeli a Gbagbo, che resta nel palazzo presidenziale, ha il sostegno del Consiglio Costituzionale ivoriano, controlla il Sud del paese, l’amministrazione e l’esercito. Per sfuggire agli squadroni della morte, circa 15.000 persone si sono rifugiate nella missione cattolica di Duékoué (500 km ad ovest di Abidjan), città che, dopo il colpo di stato fallito del 2002, si è trovata al confine tra il Nord “ribelle” e il Sud. Le violenze, che hanno opposto Gueré, cristiani, e Malinké, musulmani, hanno fatto 14 morti e 41 feriti. I sostenitori di Ouattara parlano di "Genocidio”, quelli di Gbagbo ridimensionano le violenze dovute a tensioni tra gruppi etnici “come ce ne sono sempre state”.
Ai contrasti interni si aggiungono giochi di potere e di interesse economici che hanno portato agli odierni paradossi. Il presidente sconfitto è certamente circondato, consigliato e difeso da chi vuole mantenere un clima di terrore mascherato da un nazionalismo esasperato, con la complicità di qualche socialista. Ma Ouattara, che evoca volentieri i “legami storici” con l’ex potenza coloniale, è per molti il “candidato degli stranieri”, favorito da Parigi ed appoggiato da numerosi gruppi industriali. In Francia, i suoi detrattori lo accusano di essere “una marionetta nelle mani degli americani”. Poco apprezzato dall’équipe Chirac, ha avuto il sostegno di Sarkozy ai tempi in cui era esule a Parigi e l’attuale presidente francese era sindaco di Neuilly-sur-Seine. In Francia altri gruppi politici ed economici sostengono invece Gbagbo.
Così Parigi viene accusata d’ingerenza, anche se Sarkozy aveva dichiarato di accettare qualsiasi risultato delle urne, purchè chiaro.
Ouattara, candidato del partito RDR (Rassemblement des Républicains), è stato primo ministro di Félix Houphouët-Boigny (storico presidente dall’indipendenza della colonia francese al 1993, anno della sua morte) e direttore del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Laurent Gbagbo partirà prima della fine di gennaio », afferma.
E’ deciso a convincere il suo rivale a “lasciare il potere”, ma vuole porsi come “uomo di pace” rassicurando che, anche se dovrà usare la “forza legittima” contro una sola persona, non ci sarà guerra civile. Anzi, ha proposto un’azione “non violenta” della Comunità economica degli stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO) per “condurre altrove” il presidente uscente, al potere dal 2000. Propone anche un “governo d’unione” con i sostenitori del suo rivale Gbagbo, se accetta di ritirarsi.
15 gennaio 2011
M.C.G.