Il fabbro terapeuta moagha del Burkina Faso

5 novembre 2011

 

L’antropologa Lidia Calderoli (Laboratoire d’Anthropologie Sociale di Parigi-Università di Milano Bicocca) ha tenuto una conferenza il 5 novembre 2011, nell’aula magna del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, dal titolo: Il fabbro terapeuta. Un’esperienza sul campo in un villaggio del Burkina Faso. E’ stato inoltre proiettato unl video documentario sull’utilizzo comunicativo e musicale del mantice della fucina: Le souffle de la forge.

Questa ricerca antropologica ed etnografica è stata compiuta, nei primi anni novanta, presso i Mossi,  un popolo dell’area centrale del Burkina Faso (in passato Alto Volta). La denominazione « mossi » è stata utilizzata nel periodo coloniale, ma la popolazione usa il termine  Moose (o Mossé, al singolare Moagha o Moaaga). Oltre sei  milioni di persone si considerano moose, e costituiscono circa il 40% della popolazione. L’appartenenza a questa etnia è fondata sul linguaggio moré (moore), sulla parentela e sulla pratica di alcune tradizioni familiali e comunitarie.

L’antropologa è stata ospite di una famiglia del villaggio, con cui ha pian piano stabilito un legame di fiducia e condiviso i pasti. Così l’esperienza sul campo di Lidia Calderoli, proprio in quanto  straniera, donna e  bianca, è stata molto positiva sia per la ricerca che per l’interazione con la popolazione locale.

Nella comunità moose, la casta dei fabbri occupa un posto speciale.

I fabbri si definiscono come “uomini di pace”, in quanto fabbricano zappe, vanghe, pale e altri utensili utili all’agricoltura, e non armi, strumento di guerra. L’arte di lavorare il ferro con il fuoco è la base del rito terapeutico di “pacificazione”, di cura, che compiono con i loro utensili. Mediante la rappresentazione delle emozioni che vi è sottesa, i  fabbri prevengono e impediscono il suicidio con l’aiuto del loro maglio, chiedono la fecondità delle donne sull’altare della fucina, e svolgono attività terapeutiche con il mantice. Gli utensili della fucina diventano così strumenti polifunzionali. Anche un elemento atmosferico, il fulmine, rientra nelle competenze dei fabbri, che devono neutralizzare il loro fuoco pericoloso. Oltre a possedere occulte capacità di guaritore, il fabbro ha anche il diritto di dirimere le liti. Questo ruolo di mediatore prende origine dalla mitologia dove si descrive la disputa tra la Terra e Amma, quando quest’ultimo, in un accesso d'ira, fermò la pioggia. Si dice che il fabbro avesse percosso il suolo con il suo martello, dopo di che l'ira di Amma si dissolse, ed egli fece cadere nuovamente la pioggia. Il fabbro non coltiva; fabbrica tutti gli utensili necessari all'agricoltura per la comunità e viene pagato, dopo il raccolto, con riso e frumento.

Esiste dunque una concezione specifica del mestiere di fabbro, che spiega questa ambivalenza basata sul contrasto tra il caldo e il freddo. Tutte le azioni, sia rituali che quotidiane, sono accumunate dal fatto che sono pensate in termini termici: l’artigiano “raffredda”, “pacifica”, si presenta come un essere razionale, pragmatico e tollerante. Maglio, mantice, incudine sono usati da tre uomini nella piccola fucìna (il focolare a carbone nella capanna che si trova un po' in disparte rispetto al villaggio) per un lavoro concreto, ma anche metaforico, simbolico e potente, legato al controllo delle emozioni e alle relazioni tra gli uomini. Si può scoprire un legame tra rito e tecnica, mediato dagli strumenti di lavoro, che fanno derivare il primo dalla seconda.

 

Lidia Calderoli è laureata in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (DAMS) alla facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna. Nel 1999 ha conseguito il dottorato di ricerca in antropologia sociale ed etnologia all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi. Ha svolto ricerche sul campo in Italia, Francia, Senegal e Burkina Faso, realizzando diversi video etnografici.  Attualmente è ricercatrice a contratto presso l'Università di Milano-Bicocca, insegnante di antropologia presso il Master in "Cure ed assistenza transculturali - multietniche nel campo della salute e del welfare" dell'Università di Modena e Reggio Emilia, e collabora con la Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) di Milano. Ha svolto ricerche sull'artigianato e nell'ambito dell'antropologia della malattia in Italia, Francia, Senegal e Burkina Faso,principalmente presso popolazioni moose. Ha pubblicato saggi in volumi e in riviste specialistiche, italiane e francesi. Numerose e variegate sono le sue attività didattiche e le sue pubblicazioni. I suoi principali ambiti di interesse sono: antropologia simbolica, antropologia della malattia, rito, identità/alterità, lavoro, artigianato, metallurgia, cultura materiale, corpo, "marcature" permanenti del corpo, tatuaggi, comunicazione orale, metodologia della ricerca sul campo, antropologia visuale. L’ultimo libro è appunto:  Rite et technique chez les forgerons moose du Burkina Faso. (l’Harmattan, Paris, 2010). Parallelamente sta svolgendo una ricerca sui fabbri nella provincia di Bergamo.

 

Il Burkina Faso confina con Mali a nord, Niger a est, Benin a sud-est, Togo e Ghana a sud e Costa d'Avorio a sud-ovest.

 

 

 

I regni mossi o moose (1530) avevano un Naba (capo), da cui dipendevano ministri, capi di provincia, feudatari, ecc. Il più importante regno moose fu quello di Ouagadougou.

 

 

 

 

 

I Burkinabé sono suddivisi in due grandi gruppi etnico-culturali: i Mande e i Voltaici che includono il sottogruppo dei Moose.

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