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Lidia Cicerale (prima a sinistra, insieme ad Attilio Gaudio) nel 2000, in una delle biblioteche del deserto della Mauritania (foto Sam Selmou)
Il Centro Studi Archeologia African (CSAA - www.csaamilano.it ) ha ricordato con una giornata speciale "l'avventura umana e scientifica" di una persona che per trent'anni è stata l'anima e la mecenate di questo centro milanese, sito presso il Museo civico di Storia Naturale di Milano. Erano presenti in molti: gli innamorati dell'Africa e dell'archeologia, la famiglia commossa, e soprattutto i collaboratori, i co-fondatori del Centro, e gli studiosi che via via si sono inseriti ed hanno partecipato alle numerose missioni sul terreno, ricerche, congressi, seminari. "Sarà il nostro modo, hanno scritto gli organizzatori, per ricordare Lidia Cicerale e per presentare una serie di nuovi contributi alla storia dell’Africa e, più in generale, alla conoscenza della vicenda umana."
Hanno preso la parola Giulio Calegari e Giorgio Terruzzi, rievocando gli inizi e l'entusiasmo e la disponibilità di Lidia, e insieme a lei gli oltre 30 anni di vita del Centro Studi Archeologia Africana. Poi Gigi Pezzoli, attuale presidente del CSAA, ha presentato "Pierre Reinhard: un ricercatore francescano nel Nord Togo". Altri interventi hanno illustrato esplorazioni e ritrovamenti recenti nel Deserto Libico (Maria Emilia Peroschi e Flavio Cambieri) - il Gran Mare di Sabbia, GSS, e l'origine delle società moderne (Lorenzo De Cola) - il poggiatesta, confronto tra l'etnografia africana e l'antico Egitto (Franco Di Donato) - vita con una famiglia tuareg nell'oasi di Djanet, Algeria (Giovanna Soldini). E poi: Gilberto Modonesi: percezione del mondo nilotico da parte dei Romani - Itala Vivan: musei delle migrazioni, alle porte d'Europa (partendo dalla Porta d'Europa di Mimmo Paladino a Lampedusa) - Barbara Barich: il potere dell'immagine nella preistoria del Sahara. Infine Christian Dupuy (dell'Institut des Mondes africains) ha interpretato arti e società dell'Africa settentrionale in maniera molto interessante , parlando di una "médiation horizontale" (con la vita quotidiana, la sopravvivenza, tutto ciò che circonda l'uomo al suo livello) e la "médiation verticale", lo spazio virtuale del soprannaturale, del magico, del mistero.
E per concludere, Giulio Calegari, "armato" di uno strumento musicale (comprato da Lidia) che non ha potuto suonare per mancanza di corde, ha lanciato "sguardi spontanei e voli pindarici sull'arte rupestre", e proiettato immagini di graffiti rupestri eritrei, in cui compare lo stesso strumento.
Scrive Padre Galli: VISITE DALL'ITALIA
Ancora una volta il Centro Sanitario di Kolowaré ha ospitato un gruppo di medici e dentisti dell’AVIAT (Associazione Volontari Italiani Amici Togo). Questo organismo aveva già provveduto, qualche anno fa, ad allestire un gabinetto dentistico nel Centro, ed ora è perfettamente funzionante. Questo ambulatorio continua la sua attività con un tecnico dentista formato dai dentisti italiani. Questa volta il gruppo era numeroso: presente il responsabile, dottor Gianfranco Mirri, due dentisti, Alessandro e Denis, quattro dottoresse e una infermiera. Con loro erano presenti alcuni oculisti locali che hanno operato un centinaio di pazienti di cataratta. Tutte le spese, intervento, medicine, vitto e trasporto per medici e ammalati, sono stati presi in carico dall’AVIAT.
Operati in attesa di controllo - Pazienti in attesa
Il gruppo si è installato al Centro Sanitario, guidato dalla nuova responsabile suor Claire. Il primo giorno hanno lavorato solo la mattinata. Nel pomeriggio siamo andati tutti in un villaggio della parrocchia di Affem Kabyè, ad una cinquantina di km da Kolowaré, per vedere i lavori di scavo per un pozzo, offerto da due dottoresse. Le macchine trivelle erano già sul posto e al lavoro dal mattino. Ad una settantina di metri hanno trovato una roccia, perforata, e da sotto è zampillata una polla d’acqua talmente importante, limpida e pulita, che tutti si sono messi ad applaudire.
Ad Affem per il rinfresco- E l'acqua esce in abbondanza
Padre Roberto, il parroco, ci ha poi condotto ad Affem dove, in un parco allestito nel terreno della parrocchia, ha offerto a tutti un rinfresco con pollo arrosto e frittelle di ignami. Affascinati dal posto e dall’ambiente i dottori hanno deciso di venire, il giorno dopo, a curare gli ammalati del luogo. Siamo poi ritornati sul luogo del nuovo pozzo e l’acqua fluiva abbondante. E così martedì 9 novembre tutti i medici, meno i dentisti, sono tornati ad Affem per offrire cure e medicine gratis a tutti.
Con Gamal accanto al nuovo pozzo - Bambino appena operato
La voce della loro presenza si era diffusa. Il villaggio di Atchibodow è venuto a chiedere di fare una trasferta anche da loro. Giovedì 11, accompagnati da Jean, l’infermiere del Centro, si sono recati al villaggio. Fine mattinata passo a trovarli. I pazienti gremivano la piazza della Chiesetta. Era certamente molto laborioso avere un’attenzione particolare per ogni paziente.
Dentisti al lavoro
Nuove scoperte in Spagna sono destinate a rivoluzionare la narrazione dell'evoluzione umana. Anche perché sino ad ora si pensava che il simbolismo fosse comparso in Africa, come segno caratteristico dell'Homo sapiens, che lo trasferì più tardi in Europa con le sue migrazioni.
"Nella preistoria è sempre una battaglia contro le vecchie idee", commenta Michel Lorblanchet (Centro nazionale della ricerca scientifica francese, CNRS, professore emerito all'università di Tolosa), che ha partecipato a queste ricerche, ora pubblicate sulla rivista Science. Già nel 2012 l'esperto di arte rupestre aveva sostenuto che le pitture più antiche nelle grotte europee erano state scoperte in Spagna, e avrebbero più di 40.800 anni. Rimaneva aperta però la questione se quest'arte rupestre del Paleozoico sia stata o meno opera di uomini di Neandertal.
Un'équipe internazionale (università di Southampton, istituto Max Plank di antropologia evolutiva, CNRS francese ...) ha esplorato, studiato ed eseguito datazioni in tre grotte spagnole: la Cueva de la Pasiega (Cantabria), di Maltravieso (Estramadura) e di Ardales (Malaga).
1) Cueva de la Pasiega, Cantabria (foto P. Saura)
Questo motivo a forma di scala stilizzata è in realtà un "segno" secondo l'antropologia culturale, un simbolo non riconoscibile dalla sola esperienza, ma il risultato di una convenzione sociale. Le linee rosse verticali risalgono quasi con certezza a 64.000 anni fa.
2) Cueva Maltravieso - Lo stesso si può dire per questa mano dipinta in negativo (a sinistra in situ, a destra fotografata con tecnica apposita), età minima 66.700 anni.
3) I Neandertal coloravano anche le grotte. Nella Cueva de Ardales (Malaga), le colorazioni in ocra rosso, sono state datate con il metodo uranio-torio: 66.000 anni
4) Infine nella Cueva de Maltravieso (Càceres- Estremadura) (Foto H.Collado), troviamo mani incise e dipinte (66.000 anni)
Più di sessantaseimila anni! La capacità squisitamente umana che unisce simbolismo, intelligenza creativa e linguaggio sarebbe forse nata molto tempo prima di quanto si pensasse? Eppure gli umani moderni (Homo sapiens sapiens) avrebbero abitato l'Europa solo circa 20.000 anni fa (per alcuni 40.000, provenienti da est), mentre l'Homo erectus avrebbe lasciato l'Africa 1,8 milioni di anni fa. Solo l'Homo sapiens neanderthalensis, ritenuto molto primitivo, abitava l'Europa. Allora chi può aver realizzato queste opere? Le pitture, rosse o nere, con rappresentazioni di animali, punti, figure geometriche con mani (forse anche posteriori alla datazione) si trovano in tre grotte distanti tra loro settecento chilometri; il che indica un sentire comune, la percezione di un simbolo, la "lettura" condivisa da umani intelligenti.
Questo significa che, se il sapiens moderno non c'era ancora, l'arte rupestre del Paleolitico è (sarebbe) da attribuirsi ai Neandertal, quell' Homo sapiens neanderthalensis che era l'unico abitante dell'Europa all'epoca (insieme ai Cro-Magnon provenienti però dal lontano oriente). Qualche studioso avanza già un'ipotesi: si tratterebbe di una sola specie di Homo sapiens con flusso genetico attraverso i continenti, tra "cugini", il sapiens antico e quello moderno. Del resto un'altra vecchia idea è crollata: i Neandertal non sono completamente scomparsi, sostituiti da H. sapiens sapiens. Oggi ciascuno di noi ha nel DNA il 2-3% di genoma neandertaliano, ma non tutti hanno la stessa porzione - quindi in totale si calcola che sia presente il 40-50% di DNA di Neandertal nell'umanità moderna.
Come afferma uno dei principali studiosi di questa ricerca, Dirk Hoffmann (Istituto Max Planck)," La nascita della cultura materiale simbolica ...è uno dei principali pilastri del nostro essere umani", e finora era stata attribuita ai Neandertal in Europa di circa 40.000 - 50.000 anni fa, e solo limitatamente agli ornamenti corporei.
Ma i primi manufatti simbolici, risalenti a 70.000 anni, sono stati trovati in Africa, e dall'Africa si stavano man mano diffondendo in tutta l'Europa presso i suoi abitanti dell'epoca: i Neandertal. Che non possono più essere considerati brutali e rozzi, incapaci di avere un comportamento simbolico. Invece bisogna riconoscere che sapevano creare immagini con un senso, scegliere i luoghi adatti, pianificare la sorgente di luce nella grotta, mescolare i pigmenti.
(M.C.G.)
Da Padre Silvano Galli (conosciuto in Costa d'Avorio tanti anni fa) ricevo regolarmente le interessanti "cronache di Kolowaré" *. Questa volta pubblico quasi integralmente (in due puntate) il suo messaggio con relativa cronaca e foto.
Hanno appena lasciato Kolowaré. Quattro dottoresse, una infermiera, due dentisti, e il capo gruppo dell’AVIAT, di cui il gruppo fa parte, il ginecologo Gianfranco Mirri. Tutti dell’Emilia Romagna. La loro presenza ha coinciso con l’operazione della cataratta per un centinaio di persone.
Due dottoresse del gruppo hanno voluto anche fare un gesto molto concreto, oltre al loro lavoro di medico a Kolowaré e altrove. Hanno finanziato un “forage”, cioè una trivellazione, per un pozzo, con annessa pompa. E hanno potuto assistere alle varie fasi dei lavori. E il giorno dopo sono ritornati nel villaggio per una giornata di cure, di assistenza, di visite agli ammalati del villaggio e dintorni. Qualche nota e foto su questo dono che l’AVIAT, ancora una volta, ci ha fatto. (segue)
*Silvano Galli - Paroisse St Léon IX - Kolowaré
300 - B.P. 36 SOKODE -TOGO
)
La missione della SMA a Kolowaré (foto Silvano Galli)
P. Silvano Galli Kolowaré, B.P. 36 SOKODE - Togo
T. 00228. 90977530 - 00228.24451012
Settembre 2015 - La scienza non è dogmatica, ogni ipotesi deve essere considerata “vera” fino a quando non si dimostra il contrario. Così, mentre ci si interroga ancora sul colore della pelle dei Faraoni e dei loro sudditi (erano neri?), una nuova specie del genere Homo, con caratteristiche primitive e moderne insieme, è stata scoperta in Sudafrica. Un ritrovamento che potrebbe far riscrivere la storia dell'evoluzione della nostra specie?
Come ogni martedì, Nigrizia organizza un incontro-dibattito-informazione su un argomento di attualità. Il 5 aprile 2016 (ore 20,30 – sala Africa dei Missionari Comboniani in Vicolo Pozzo 1, Verona) si parla di Libia, la sfida del Gruppo Stato Islamico. Sarà un dialogo tra il direttore di Nigrizia, p. Efrem Tresoldi, con il prof. Antonio M.Morone, ricercatore in Storia dell’Africa all’Università di Pavia. “La guerra non è il mezzo adeguato per sconfiggere il terrorismo del Gruppo Stato islamico (Is) né tantomeno per portare stabilità in Libia». È un passaggio del documento contro la guerra, lanciato il 9 marzo dalle riviste missionarie e dell’area nonviolenta.
“La Libia rappresenta il classico esempio - scrive Nigrizia- degli orrori occidentali, applicati nel sud del mondo. Con la complice collaborazione delle petromonarchie del Golfo e dell’Egitto." Orrori, quindi errori, smania di potere, di risorse, di territorio, di appalti. Si dimentica “che la Libia, -continua Nigrizia- come l’abbiamo imparata a conoscere sugli traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarieatlanti, non esiste più. Dopo 42 anni di tirannia gheddafiana, i poteri formali non contano più nulla. E quelli informali sono impegnati ad arraffare ciò che vale tra Sahara e Sahel: dai traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarie"..” Tripoli, novembre 2009 (foto Mila C.G.)
Sarà possibile una soluzione politica? L’obiettivo è la spartizione del paese tra le potenze interventiste e i loro referenti locali? E’ il momento di agire con la forza? “Magari con l’avallo dell’Onu. - conclude Nigrizia- al di là dei vari schieramenti in campo (il governo di Tobruk e quello di Tripoli; laico il primo, islamista vicino ai Fratelli musulmani il secondo) e delle decine se non centinaia di bande armate che controllano più o meno grandi fette di territorio”.
Per informazioni: Fondazione Nigrizia Onlus: 045.8092390 - Centro Missionario Diocesano: 045.8033519 - Missionari Comboniani - 37129 - Verona -Tel. 045.8092290 -www.fondazionenigrizia.it www.nigrizia.it www.museoafricano.org
Arte africana? Solo la seconda foto! che ritrae alcune (tra le migliaia) opere d'arte africane raccolte ed esposte da Adolfo Bartolomucci nella sua galleria milanese*. La prima invece è arte alpina, della Val Gardena, dove la scultura lignea fa parte della tradizione secolare, e l'artista è Adolf Vallazza, scultore di fama mondiale. Nei due casi: arte o artigianato oppure entrambi? non ha importanza, il risultato è sempre qualcosa che evoca passato e presente, stupisce, emoziona, risveglia tutti i sensi. Protagonista è sempre il legno.
(foto Lucio Rosa) (foto Mila C.G.)
L'artista africano sceglie il suo albero in funzione dell'oggetto da scolpire; così statua, maschera, feticcio, totem sarà il veicolo attraverso il quale gli spiriti, le divinità, gli antenati e le forze della natura si rendono presenti e visibili nello spazio umano. Gli oggetti di utilità quotidiana, quali spole per tessere, ciotole, sgabelli, sedie, alzatesta, strumenti per la cucina, sono fabbricati con molta cura. Per ogni settore della cultura esistono una serie di simboli e di stili specifici, compresi dalla comunità.
Anche l'artista alpino, "vive del legno, nel legno, parla con il legno...". Per questo il regista Lucio Rosa, bolzanese, gli ha dedicato il film** "Adolf Vallazza, sciamano del legno antico" presentandolo con queste parole: " Il bosco, silente e ordinato, i tronchi ravvicinati e umidi si sono affidati ad Adolf Vallazza. Un viaggio assorto e pieno di attese finisce nei linguaggi e nelle forme dell'uomo contemporaneo. L'artista non interroga la materia - che è già sua - ma il genio dei luoghi che l'ha generata. Con lui tesse il dialogo serrato che porta alle trasformazioni dei legni, programma i loro destini futuri e in loro soffia il suo spirito."
Lo sciamano viene generalmente considerato come un guaritore e un mediatore tra il mondo conosciuto della realtà ordinaria e il mondo spirituale. L'arte di Adolf Vallazza può essere antropologicamente considerata sciamanica, perchè lavora legni antichissimi, a volte secolari, recuperati nelle case contadine delle sue valli: vengono dalle pareti delle stube, hanno visto la storia, passare tante generazioni e vicende, i vivi e i morti; sono corrosi, consumati, mangiati dalle tarme, con i segni delle scarpe chiodate dei contadini, che hanno camminato su di loro per anni e anni. Anche il colore varia a seconda della loro vita. Ci sono i legni grigi, i bluastri che hanno preso la pioggia, e quelli rossi, che sono bruciati dal sole. E' come un "viaggio" nel passato e in altre tradizioni la scultura in questi legni, che hanno vissuto e trasmettono "messaggi" dai mondi spirituali invisibili alla realtà. E poi ci sono le leggende nei paesi delle montagne, le Dolomiti; "anche se astratte, le mie sculture, afferma Adolf, rispecchiano queste suggestioni. È il mio ambiente, la mia storia che mi ha dà l’ispirazione per la scultura. "
Il Maestro Adolf Vallazza nasce nel 1924 ad Ortisei. Il padre è scultore in ferro; il nonno materno, Josef Moroder Lusenberg, è un pittore. Adolf fin da piccolo ama le arti e il disegno e intaglia il legno. Negli anni quaranta e cinquanta inizia lavorare il legno dell'ulivo; per mantenere la famiglia e per passione diventa artigiano, con una ditta e sette operai. Crea statue per le Vie Crucis, crocifissi, sculture religiose della tradizione gardenese. Ma si ritaglia del tempo per studiare e fare ricerche, apre il suo studio di scultore ad Ortisei, e abbandona il legno dell'ulivo perchè lo considera di per sè già "un'opera d'arte della natura". Le prime sculture sono classiche, poi comincia a sperimentare forme stilizzate e materiali nuovi, fino alle opere che l'hanno reso famoso, i Totem e i Troni. Ha quasi quarant’anni e infine può dedicarsi solo all’arte. Passa all'astratto, ispirato da Marino Marini, Henry Moore, e soprattutto dal grande Constantin Brâncuși, maestro per la sua semplicità, la capacità di ridurre i volumi, l’iconografia delle “colonne”. Sono gli anni '60; inizia ad allestire le sue prime mostre personali in Italia e all'estero. Nel 1968 cominciano a frequentare il suo studio d'artista importanti critici milanesi, come Marussi, Budigna e Mascherpa.
(foto Lucio Rosa) (foto Mila C.G.)
Di sè racconta: "Sono un uomo che ha vissuto il scorso secolo, un novecentesco. Ho cominciato con la figurazione ... quello deve essere il punto di partenza. Non si può cominciare dall’astratto, l’astrazione si raggiunge in un secondo momento. Ancora oggi, in questi vecchi legni, faccio delle figure. Il figurativo è importante perché insegna il “mestiere”. Molti iniziano con l’astratto, e per me è impossibile, il corpo umano lo devi conoscere, devi entrare in possesso dell’anatomia, conoscere le forme… Il materiale va capito e sentito."
*African Art Gallery di Bartolomucci Adolfo - Via Caterina da Forlì, 28 - 20146 Milano Italy.
**Titolo originale: Adolf Vallazza. Sciamano del Legno Antico Regia: Lucio Rosa Anno di produzion2019 Tipologia:documentario Genere: arte/biografico Paese: Italia Produzione: Studio Film TV Formato di ripresa: Full HD 16:9Formato di proiezione: Full HD 16:9, bianco/nero Sito Web: http://www.studiofilmtv.it/film.asp?id=43&l=it Durata: 40'
ETIOPIA (ed ASMARA) - Guerra contro il Tigray
In questo anno 2020, segnato dalla pandemia per il Covid-19, si parla poco dell’ Etiopia. Eppure sono due i grandi fatti di attualità: la grande diga sul Nilo Azzurro e il conflitto nel nord del paese. Poi un più recente triste fatto di cronaca: il 12 gennaio 2021 il feretro di Agitu Gudeta è arrivato ad Addis Abeba, dove sarà sepolto per volere della famiglia, e riceverà i funerali di Stato. Una scritta accompagna l'immagine dell'imprenditrice massacrata in Trentino: "La tenacia instancabile". La donna, che aveva fondato l'azienda biologica "La capra felice", è stata uccisa da un suo collaboratore ghanese, sembra per uno stipendio non corrisposto.
LaregionedelTigray (fotoMGC§ )
Agidu aveva lasciato l'Etiopia dopo aver ricevuto minacce da parte del governo per la sua attività di contrasto al land grabbing, l’accaparramento dei terreni a favore delle multinazionali, un problema che affligge molti Paesi africani. Dopo gli studi all'università di Trento si era stabilita a Frassilongo nel 2010 e aveva fondato il suo allevamento di capre autoctone con produzione di formaggi nei terreni recuperati dall’abbandono nelle montagne trentine.
L'Etiopia - Circondata da: Sud Sudan a ovest, Eritrea a nord, Corno d’Africa con Somalia e Gibuti a est, Kenya a sud, L’Etiopia non ha sbocchi sul mare e si può grossolanamente dividere in tre grandi tre grandi regioni morfologiche: l’Acrocoro Etiopico propriamente detto, la Dancalia e l’Altopiano Galla-Somalo. Secondo paese africano per popolazione, i circa 103 milioni di abitanti sono divisi in oltre ottanta etnie, diverse per lingua, storia, habitat e cultura. I gruppi etnici maggioritari sono Oromo, Afar, Galla, Amhara, Somali, Sidamo, Gurage, Weilata, Tigrini *(6% della popolazione etiopica). E’ la regione di questi ultimi, il Tigray (nel nord, al confine con Eritrea e Sudan) ad essere teatro di un micidiale conflitto dal 4 novembre 2020. Amministrativamente l’Etiopia è uno stato federale suddiviso in dieci stati regionali semi-autonomi e due città autonome, Addis Abeba e Dire Daua.
La regione del Tigray (Foto MCG §)
Per capire bisogna ora fare un passo indietro. ll Tigray è una regione montagnosa con circa cinque milioni di abitanti (in prevalenza agricoltori e allevatori) di cui circa 500.000 popolano la capitale Makallé. Tigrino è Meles Zenawi, che è stato presidente di transizione dal 1991 al 1995 dell’Etiopia alla caduta del governo del Derg,** per poi diventare primo ministro. Sotto la sua presidenza venne istituito nel Paese, con la Costituzione del 1994, un federalismo su base etnica. Il progetto della grande diga sul Nilo Azzurro (auspicato da Hailé Selassié) era già stato approvato una decina di anni fa appunto con Meles Zenawi, leader del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigré (TPLF) e poi del Fronte Ethiopian People’s Revolutionary Democratic (EPRDF). Il partito di Zenawi (che morì a Bruxelles nel 2012 a soli 57 anni) dirige tuttora la regione del Tigray, ma è importante notare che ha controllato per circa trent’anni l’apparato politico e di sicurezza in Etiopia (rimanendo acerrimo nemico dell’Eritrea, con cui invece il governo attuale di Addis Abeba ha fatto recentemente pace). Invece il giovane primo ministro attuale Abiy Ahmed Alì (42 anni, di etnia Oromo) eletto nel 2018, ha messo fine a due decenni di guerra con Asmara, ed è stato capace di far coalizzare le componenti politiche dei due gruppi etnici più numerosi (Oromo e Amhara) in Etiopia, forse isolando i Tigrini.
In giugno 2020 erano già iniziati apertamente gli attriti con il governo centrale, quando il Parlamento federale aveva rinviato le elezioni causa Coronavirus, estendendo di un altro anno il mandato al primo ministro. Così il governo del Tigray aveva indetto le sue elezioni parlamentari, vinte ovviamente dal TPLF.
In risposta Abiy Ahmed (premio Nobel per la Pace 2019***) accusa il TPLF di aver attaccato le truppe federali in una base settentrionale, e minaccia un’operazione militare contro la regione dissidente per sostituire le autorità tigrine con “istituzioni legittime". Alle parole: "siete sul punto di non ritorno, arrendetevi pacificamente: il vostro viaggio di distruzione è arrivato alla fine", il leader tigrino Debretsion Gebremichael risponde "siamo persone di principio, non arretreremo di un millimetro". Di qui il taglio dei collegamenti con il Tigray, che respinge l'ultimatum del premier (tempo 72 ore per arrendersi) e l'inizio delle ostilità. L'esercito federale quindi invade il Tigray accerchiandone la capitale. In risposta i Tigrini attaccano con missili e artiglieria obiettivi dell'esercito regolare, distruggono gli aeroporti nelle vicinanze, facendo arrivare missili persino sulla capitale eritrea, Asmara, da dove partivano i raid aerei etiopi. Doveva essere un'operazione lampo, ma il conflitto ha ormai provocato centinaia di morti e numerose migliaia di rifugiati nel vicino Sudan, allontanando la "fase finale" auspicata dal primo ministro. Il numero dei profughi è andato diminuendo con il passare dei mesi (da 7.000 a meno di 500 al giorno), anche per un incremento della sorveglianza sulla linea di frontiera sudanese, ma un terzo è costituito da bambini e minori di 17 anni. A fine novembre il primo ministro avrebbe dichiarato la vittoria del governo, ma 6 milioni di persone sarebbero ancora bloccate nel Tigray. Nell'est del Sudan nell'ultimo mese sono stati trasferiti più di 20.000 Tigrini, dalle zone frontaliere, verso il campo di Um Rakuba, a circa 75 km dalla città di Gedaref, e si parla di costruire un nuovo campo per i rifugiati verso l'interno. Misteri e silenzi: è certo il pericolo di tumulti violenti e incertezze, rivalità etniche, genocidio.
Tigrini (Foto MCG§)
La Commissione Etiope per i Diritti Umani ha comunicato che questo 12 gennaio sono stati uccisi oltre 80 civili, bambini compresi, in un attacco nella regione di Benishangul-Gumuz, al confine con il Sudan. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (HCDH) ha chiesto ad AddisAbeba di poter accedere all'intera regione del Tigray e di proteggere i civili. Intanto è stato chiuso lo spazio aereo sudanese ai confini l'Etiopia per i voli civili. Un convoglio di aiuti internazionali e sette camion della Croce Rossa sono recentemente arrivati a Makallé con medicinali e materiale medico... le notizie, come gli aiuti, sono insufficienti. Lo riporta Esat Tv, canale satellitare dell'opposizione citato dalla Bbc, specificando che numerosi attacchi sono stati lanciati nelle giornate di lunedì e martedì (12 e 13 gennaio). Il rapporto cita ancora "fonti attendibili" che confermano l'uccisione di 130 civili da parte di uomini armati in vari distretti nella zona di Metekel lunedì. "I banditi armati prendevano di mira solo le case dei cittadini di etnia Amhara e Agew, e ne hanno uccisi molti, comprese donne e bambini; gli abitanti dell'area raccoglievano i corpi", hanno detto all'Esat Tv. Durante l'attacco al distretto di Dibate, afferma la stessa fonte locale , "il numero dei morti potrebbe ancora aumentare".
Nel Cimitero Italiano di Adigrat sono sepolti circa 765 italiani, soldati e civili. (Foto MCG§). Sono qui riuniti i caduti provenienti dai cimiteri di Adigrat - Acab Saat - Dembenguirà - Abi Abuna - Amba Alagi - Axum - Ugurò - Selaclalà - Enticciò - Biet Mora.
A circa 1.000 km a nord di Addis Abeba, nella Regione del Tigray, si trova Adigrat, ultima importante città prima del confine con l’Eritrea. Circondata dalle alte Ambe, Adigrat si trova in una fertile conca, sulla principale rotta commerciale e strategica verso il Mar Rosso. Punto strategico di base e di rifornimenti nella campagna italo-etiopica del 1895-96 (con la conquista dell'Eritrea), e successivamente nella guerra per iniziare conquista dell'Etiopia (1935-36), sulla linea Adua-Adigrat verso sud.
*I Tigrini , come gli altri popoli degli altipiani, sono un popolo forte. Questo gruppo etnolinguistico vive in gran parte negli altopiani eritrei e nella regione settenrionale del Tigray in Etiopia. Parlano la lingua Tigrinya, che appartiene alla famiglia afroasiatica. La loro religione è il cristianesimo ortodosso, in particolare sono seguaci della chiesa ortodossa etiopica di Tewahedo. Le loro coltivazioni sono in prevalenza il cereale teff, granoturco, orzo, piselli, lenticchie, cipolle e patate. Come pastori prediligono pecore e capre da cui ricavano pelli e lane per oggetti, coperte e indumenti. Le tipiche case tigrine sono di pietra a pianta quadrata, altre sono tonde col tetto piatto fatto di terra; il focolare è ricavato da una buca nel pavimento, mentre il fumo infilandosi in una brocca rotta come comignolo esce dal tetto. Ma, dato che la legna da ardere è scarsa, i contadini, invece di concimare il terreno, utilizzano il letame per fare il fuoco in cucina. Sui ripidi pendii utilizzano un sistema di irrigazione a terrazzamento. Anticamente c'erano numerose grandi comunità urbane nella regione del Tigray, che fiorirono e crearono molta arte cristiana durante il Medioevo.
** Il Derg ("comitato" in lingua amharica) o Governo Militare provvisorio dell'Etiopia Socialista, governò con una feroce dittatura l'Etiopia e l'attuale Eritrea dal 1974 al 1987, ma ne mantenne il controllo fino al 1991. Il suo presidente dal 1977 era Menghistu Hailé Mariam, detto il Negus rosso. Questo Comitato di coordinamento di forze armate, polizia e forze territoriali, aveva detronizzato Selassié nel 1977 e avviato una rivoluzione progressivamente marxista (dopo una lotta tra moderati e radicali) con Menghistu. Hailé Selassié è stato dunque l'ultimo imperatore d' Etiopia dal 1930 al 1974 (a parte l'esilio in Inghilterra durante l'occupazione italiana); imprigionato nel palazzo imperiale, venne assassinato per ordine dello stesso Menghistu. Dopo la guerra, l'Eritrea era stata federata inizialmente all'Impero d'Etiopia dalle Nazioni Unite, mantenendo la propria autonomia. Ma il governo di Addid Abeba smantellò lo stato federale nel 1960, per annettere semplicemente l'Eritrea nel 1962. Soltanto nel 1991 il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo scacciò l'esercito etiope fuori dei confini eritrei, e supportò il TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè), movimento etiope di resistenza, per rovesciare la dittatura di Menghistu, che cadde nello stesso anno. Ma nel 1998 l'Etiopia, per un problema di confini, aveva iniziato una guerra con l'Eritrea (da cui si era separata consensualmente nel 1993, con l'indipendenza dell'Eritrea dopo una guerra durata trent'anni). Sia dopo il Negus Rosso che dopo la morte di Zenawi il paese si trovò in condizioni durissime anche per siccità, povertà, tumulti, proteste, repressioni, brogli elettorali, la guerra con l'Eritrea ... Il suo vice Haile Mariam Desalegn si dimette inizio 2018, lasciando il paese vicino ad una guerra civile. Le elezioni portano al governo Abiy Ahmed Alì di etnia Oromo, che fa pace con l'Eritrea chiamandola "amica".
*** "La guerre est l’incarnation de l’enfer pour tous ceux qui y participent. Je suis passé par là et j’en suis revenu." Le 10 décembre 2019, à Oslo, Abiy Ahmed entame son discours de lauréat du prix Nobel de la Paix par le récit – poignant – de son expérience d’opérateur radio sur le front de Badme, pendant la guerre entre l’Éthiopie et l’Érythrée, en 1998. « Il y a ceux qui n’ont jamais vu la guerre, mais qui la glorifient. Ils n’ont pas vu la peur, la fatigue et la destruction, poursuit-il devant l’auditoire. Ils n’ont pas non plus ressenti le triste vide de la guerre après le carnage".
§ Mila Crespi Gaudio
A due mesi dal sequestro di padre Maccalli non c'è nessuna notizia certa su dove si trova, se è vivo e sui passi intrapresi per liberarlo. Un altro appello è stato lanciato dalla SMA (Società delle Missioni Africane, Genova, www.missioniafricane.it) a tutti coloro che hanno a cuore l'opera dei missionari>:
"Un nostro missionario, padre Pier Luigi Maccalli, (originario della diocesi di Crema, già missionario in Costa d'Avorio) da più di un mese è nelle mani di ignoti rapitori, i quali non si sono fatti ancora vivi. Il rapimento è avvenuto nella sua missione di Bomoanga, nel sud-ovest del Niger, a pochi chilometri dalla frontiera con il Burkina Faso. Padre Gigi, come qui tutti lo chiamano affettuosamente, in undici anni ha fatto molto per la popolazione: scavo di pozzi, costruzione di scuole e ambulatori medici, formazione per i giovani contadini, istruzione degli adulti" mettendo insieme, come riferisce l'Agenzia Fides, "evangelizzazione e promozione umana; attento all'inculturazione, ha organizzato momenti di iniziazione in relazione con la circoncisione e l'escissione femminile. Può essere uno dei moventi per il rapimento, giunto una settimana dopo il suo rientro da un tempo di riposo in Italia». Infatti, attento alle problematiche legate alle culture locali, aveva organizzato incontri per affrontare temi sociali e contrastare pratiche legate alle tradizioni, come le mutilazioni genitali.
La Missione cattolica dei Padri SMA si trova in zona Gourmancé (Sud-Ovest) alla frontiera con il Burkina Faso, nella prefettura di Makalondi, e a circa 125 chilometri dalla capitale Niamey. La Missione è presente dagli anni '90, e i villaggi visitati dai missionari sono più di venti, di cui dodici con piccole comunità cristiane, distanti dalla missione anche oltre 60 chilometri. "Da qualche mese la zona si trova in stato di urgenza - spiega padre Mauro Armanino, missionario SMA a Niamey - a causa della presenza di terroristi provenienti da Mali e Burkina Faso». Testimoni riferiscono che uomini armati in moto hanno fatto irruzione nella missione, "lo hanno preso e portato via; il confratello indiano che vive con lui è riuscito a mettersi in salvo". E' plausibile che presunti jihadisti siano attivi nella zona, dove la povertà è strutturale, i problemi di salute e igiene enormi, l’analfabetismo diffuso e la carenza di acqua e di strutture scolastiche ingenti. La mancanza di strade e di altre vie di comunicazione, anche telefoniche, rendono la zona isolata e dimenticata.
Dopo il rapimento – riferiscono dalla Curia della SMA – padre Maccalli è stato probabilmente portato al di là della frontiera. Nella confinante regione del Burkina Faso c’è, infatti, una vasta foresta in cui hanno le proprie basi i miliziani jihadisti. Attualmente la diocesi di Niamey ha inviato un gruppo di sacerdoti nel villaggio di padre Maccalli per verificare i fatti e per prendere contatti con la comunità locale. Un altro religioso italiano di una parrocchia vicina è stato fatto allontanare e ora è al sicuro a Niamey”.
Poema per p. Gigi,
di p. Paco Bautista, missionario SMA spagnolo
Algún día, en alguna parte,
todo será de otra manera.
Mientras tanto
bregamos con nuestras heridas,
convivimos los miedos,
los fracasos,
gestionamos nuestros fantasmas
en estos tiempos de crisis…
Pero también
sacamos lo mejor de nosotros
porque creemos,
contra toda evidencia,
en la bondad innata
de lo más sagrado
que cada uno lleva dentro.
Y apostamos por un mundo
sin fronteras ni exclusiones,
donde la verdad
es el punto de salida
para hacer nuevas todas las cosas.
Porque algún día,
en alguna parte,
todo será de otra manera.
Fraterno siempre
La rivista British Archaeology ha pubblicato i risultati di uno studio del ricercatore inglese Mike Pitts, secondo il quale due delle famose pietre di Stonehenge sarebbero preesistenti all'arrivo dell'uomo in Inghilterra. Questo sito, il più celebre ed imponente cromlech (circolo di pietra) della preistoria, si trova ad Amesbury nello Wiltshire, circa 13 chilometri a nord-ovest di Salisbury (sud dell'isola)
Da anni archeologi e storici si interrogano sul significato del misterioso monumento circolare di pietra. La datazione radiocarbonica indica che la costruzione fu iniziata nel 3100 a.C., e si concluse verso il 1600 a.C.. In base alla nuova ricerca invece si pensa che almeno due pietre siano del tutto naturali, sempre esistite in loco.
Infatti lo stesso Pitts, nel 1979, aveva trovato, scavando vicino al sito, resti di queste pietre, che sarebbero state trascinate a valle dall'azione di un ghiacciaio dalla vicina catena collinare (Marlborough Down) poi abitata dai pastori nomadi del paleolitico e del mesolitico.
In effetti si è sempre pensato che queste pietre di sarsens (blocchi di arenaria locale), del resto diffusissime in tutta la Gran Bretagna, provenissero dai rilievi vicini e sarebbero rimaste parzialmente interrate; altre, ma moltissimi anni dopo, sarebbero state trascinate da altri luoghi per completare il monumento.
Ma perché pietre del tallone? La tradizione racconta che il diavolo "comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon, le altre vennero portate sulla piana. Il diavolo allora gridò, "Nessuno scoprirà mai come queste pietre sono arrivate fin qui". Un frate rispose, "Questo è ciò che credi!", allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate e lo colpì su un tallone. La pietra si incastrò nel terreno, ed è ancora lì."
Alcuni uomini dell'Africa Occidentale possiedono un DNA ibridato con un misterioso ominide sconosciuto, risultato da incroci di Homo sapiens con altre specie arcaiche esistenti migliaia di anni fa. Questo DNA è stato in parte trasmesso all'uomo moderno, unica specie sapiens attualmente vivente sulla Terra. Ora due scienziati dell'Università di California (Los Angeles) hanno trovato un altro DNA sconosciuto presso il popolo Yoruba, in Africa occidentale. Ricerca complicata dal clima caldo umido che altera lo studio di codici genetici.
Però, applicando il metodo statistico (secondo il Progetto 1000 genomi), Durvasula e Sankararaman hanno determinato che circa l'8% del genoma yoruba è riconducibile ad una specie arcaica "fantasma", percentuale variabile a seconda delle regioni (e quindi riconducibile a incroci con popolazioni diverse, fenomeni di deriva genetica, selezione di geni sfavorevoli, isolamento, migrazioni).
Chi può essere il fantasma? I ricercatori scartano i Pigmei (il cui codice, sequenziato, non coincide con quello degli Yoruba), i neandertaliani e i denisoviani (poco possibili geograficamente), e anche Homo naledi dal piccolo cervello (250.000 anni fa, nelle pianure sudafricane). Homo heidelbergensis (200.000 anni fa) rimane il candidato più probabile: probabilmente nato in Africa si ipotizza che si sia diffuso ed evoluto in quattro sottospecie. Homo heidelbergensis "heidelbergensis " includerebbe fossili africani ed europei, crani con architettura arcaica e caratteri derivati; H.heidelbergensis "rhodesiensis" sarebbe la varietà africana da cui sarebbe nato Homo sapiens; H. "daliensis" sarebbe la sottospecie asiatica non-herectus, comprendente l'Homo di Denisova; H.heidelbergensis "steinhemensis" che sarebbe la varietà europea pre-neanderthaliana, comprendente gli individui spagnoli della Sierra de los Huesos di Atapuerca. Questi resti spagnoli fanno ritenere che la separazione delle linee evolutive di H.sapiens sapiens, H.di Denisova e H.neanderthalensis risalga a quasi 1 milione di anni fa, mentre secondo la genetica la divergenza tra le tre tipologie sarebbe avvenuta circa 500.000 anni fa.
Valle Dell’Omo 2°
La valle inferiore del fiume Omo è una regione dalla bellezza misteriosa, con ecosistemi estremamente differenti: rilievi vulcanici, valli e corsi d’acqua, paludi, praterie e una delle rare foreste vergini primarie dell’Africa semi-arida che danno vita ad una importante biodiversità. Flora, fauna e gruppi etnici diversi di grande interesse antropologico, intimamente legati alla natura, e solo parzialmente "contattati”. La vita di queste popolazioni è scandita dalle piogge, dalle alluvioni del fiume, dalla transumanza per sfuggire alle punture della mosca tzè-tzè, dalla semina e dal raccolto, dai riti legati alle varie fasi della vita, dai conflitti. Le nuove divisioni amministrative contano nella regione dell'Omo ben 45 gruppi di popoli. Ci sono differenze notevoli, ma anche somiglianze legate a incroci e matrimoni, scambi e commerci, mescolanze e contaminazioni, alleanze e rivalità.
. Lucio Rosa nella Valle dell'Omo, presso l'etnia Hamer
“È un’Africa profonda, quella della bassa valle dell’Omo, scrive su Archeologia Viva, la rivista di Piero Pruneti, il regista Lucio Rosa (che voleva girare il film Lontano, lungo il fiume – l’anima originaria delle tribù dell’Omo, già
sceneggiato). Qui esistono ancora dei luoghi che conservano, in una dimensione senza tempo, un incredibile mosaico di razze ed etnie, vive tracce di antiche tradizioni, una commistione tra le radici dell’uomo e la natura. Per avvicinarsi a
questo mondo, cercare di comprendere l’anima originaria delle tribù che ci vivono, dobbiamo abbandonare le nostre certezze e ogni pregiudizio occidentale. Allora potremo cogliere la ricchezza di un mondo da noi così distante e conoscere
l’Africa autentica, l’anima originaria di genti “lontane”. Nel nostro immaginario spesso ci avviciniamo a questi popoli pensando fondamentalmente che siano dei primitivi, “selvaggi” – come si diceva una volta e come ora non si dice più per
pudore verso noi stessi – a cui dovremmo insegnare come si vivere sul pianeta … Nel contesto del XXI secolo, dove il nostro apparato economico sta distruggendo interi ecosistemi a un ritmo mai visto, da queste popolazioni di pastori
nomadi come i Karo, i Mursi, gli Hamer, i Daasanach, che ancora vivono un’esistenza non ancora del tutto contaminata dall’uomo occidentale, avremmo molto da imparare, soprattutto dalla loro profonda umanità. Diciamolo chiaro: stiamo
percorrendo velocemente le strade che porteranno alla distruzione delle culture di quella che fu la culla dell’umanità.“
Una vertebra umana preistorica, datata 1,5 milioni di anni, è stata scoperta nel nord di Israele, nella valle del Giordano, a Ubeidiya, dagli archeologi della Università Bar-Ilan, diretti da Alon Barash, insieme al Collegio Accademico Ono, l’Università di Tulsa e l’Autorità delle Antichità di Israele. Importante scoperta, che dimostra l'esistenza di ondate migratorie diverse "out of Africa". Infatti é il secondo fossile arcaico di ominide trovato al di fuori dell’Africa; i più antichi risalgono a 1,8 milioni di anni fa e sono stati rinvenuti a Dmanisi, in Georgia.
Vertebra, Ubeidiya (Israele)- foto a) superiore b) posteriore c) inferiore d)frontale (Dr. Alon Barash, Università Bar-Ilan)
La storia di questo osso inizia nel 1959, quando un agricoltore del Kibbutz Afikim, lavorando un terreno in una zona che non era ancora riconosciuta preistorica, portò alla luce alla luce alcune ossa, inclusi un teschio e alcuni denti. Gli scavi iniziarono nel 1960, e nel 1966 l’archeologo Moshe Stekelis trovò questa vertebra, che fu messa in una scatola con la scritta "Homo?" e dimenticata. Dopo vent’anni, la paleoantropologa dell’Università di Tulsa, Miriam Belmaker, che stava lavorando sulla ricostruzione del paleoclima dell’Ubeidiya preistorica, rianalizzò tutti i fossili trovati nel sito. E, scoprendo quel pezzo di spina dorsale, capì subito che non era una scimmia: il reperto, non completamente ossificato, è molto più grande anche di quello degli erectus africani. Secondo gli scienziati, poteva trattarsi di un caso di ossificazione ritardata, e in tal caso il bambino, pur restando un soggetto molto “robusto”, avrebbe avuto un’età compresa tra 6 e 12 anni alla morte, un'altezza presunta di un metro e mezzo, e un peso di 45-60 chili!
Tuttavia, da allora iniziò un incessante studio comparativo su tonnellate di vertebre di antichi ominidi, umani moderni, iene, rinoceronti, leoni, scimmie e altri animali sospetti. In conclusione, dopo aver fatto una comparazione delle tre vertebre presacrali inferiori (negli esseri umani moderni, nei Neanderthal, negli Australopitechi, e negli scimpanzé) e dopo aver escluso che si trattasse di un animale, gli scienziati hanno stabilito la giovane età dell’ominide in base alla parziale ossificazione. Il che fa però ipotizzare una possibile statura media in età adulta intorno ai 2 metri.
E' stata studiata anche la cultura materiale dei due siti, georgiano e israeliano. Mentre a Ubeidiya i manufatti di pietra e silice, le accette di basalto, gli utensili da taglio sono associati alla cultura acheuleana avanzata (Paleolitico inferiore), gli utensili di pietra di Dmanisi appartengono alla cultura olduvaiana primitiva (Paleolitico inferiore arcaico), risalente a ondate di migrazioni di ominidi arcaici durante il Gelasiano, il periodo più antico del Pleistocene.
Quindi le due diverse industrie sono state prodotte da due diverse specie umane arcaiche. E il bambino "gigante" della Valle del Giordano e l’Homo georgicus di Dmanisi non sarebbero della stessa specie. Il che significa che gli archeologi hanno scoperto una nuova specie, un anello mancante nell'evoluzione umana, e che le migrazioni in Africa avvennero in più ondate, in un lasso di tempo che le separa tra loro dai 200.000 ai 300.000 anni.?
Per Alon Barash non c'è dubbio: "Data la differenza tra le dimensioni e la forma di questa vertebra e quelle riscontrate in Georgia riteniamo evidente e senza equivoci la presenza di due ondate migratorie distinte". Da un altro punto di vista, la paleoantropologa Miriam Belmaker (Università di Tulsa) afferma in sintesi: Una delle principali domande rispetto alla diffusione umana fuori dall’Africa sono le condizioni ecologiche. In teoria si discute se gli antichi ominidi, lasciando le foreste africane, avessero preferito un habitat di savana o di bosco umido. La scoperta di due specie diverse a Dmanisi e Ubeida, concorda con un clima diverso: più umido e compatibile con quello mediterraneo vicino al lago, e più secco e boscoso nel Caucaso. Inoltre le due specie hanno prodotto due tipi di utensili di pietra diversi.
In conclusione l’antica migrazione umana dall’Africa verso l’Eurasia, di circa 1,8 milioni di anni fa (nel Caucaso, Repubblica di Georgia), non fu un evento unico, ma è stata seguita da una seconda, di approssimativamente 1,5 milioni di anni, in Israele a sud del lago di Tiberiade, il Mar di Galilea.
In ventisei scatti selezionati, il regista, fotografo e produttore veneziano Lucio Rosa ha immortalato alcuni gruppi etnici di Congo, Kenia, Etiopia, sempre meno numerosi e probabilmente in pericolo di estinzione.
Sono i Dassenech, i Pokot, gli Hamer, i Babinga che popolano la mostra fotografica "Con l'Africa nel cuore" che, inaugurata il 28 ottobre 2016 a Licodia Eubea (Catania), si potrà ancora visitare sabato 26 e domenica 27 novembre dalle 17 alle 21. L'evento è contestuale all'apertura della VI edizione della Rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica di Licodia Eubea (Sicilia) (vedi https://archeologiavocidalpassato). Nella foto, il regista con il direttore artistico.
La Rassegna si chiuderà con un bilancio positivo, dichiarano i direttori artistici Lorenzo Daniele e Alessandra Cilio, mentre è già stato consegnato al toscano Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, il premio "Antonino Di Vita". Questo archeologo siciliano di fama internazionale, scomparso nel 2011, ha sempre visto in Licodia Eubea il suo "luogo dell'anima".
Invece il luogo dell'anima di Lucio Rosa è sempre l'Africa, soprattutto da quando, negli anni '80 vi realizza reportage cinematografici e fotografici su incarico delle Agenzie delle Nazioni Unite. Così, le etnie rappresentate in questa mostra rivivono per i nostri occhi e cuore, grazie alle immagini di Lucio, il loro speciale, millenario, prezioso rapporto simbiotico con l' ambiente da cui sono nate e in cui cercano ancora di sopravvivere, malgrado (o forse con) il turismo e le "ruspe" del progresso. (M.C.G.)
Browning et al./Cell - Il grafico mostra le migrazioni dei Denisoviani in Asia e Oceania, e ipotizza genomi misti con Neandertaliani e sapiens moderno.
Infatti, da quando è stato analizzato nel 2010 il genoma dell'Homo di Denisova (a partire da pochi fossili: una falange e due molari), sappiamo che alcune popolazioni dell'Oceania (Papua, Nuova Guinea, isole Cercanas) contengono nel loro DNA il 5% di quello di Denisova. Anche le popolazioni dell'est e del sud dell'Asia contengono lo 0,2% del DNA denisoviano, ma sembra che questo sia dovuto a migrazioni (e quindi incroci) delle popolazioni oceaniche verso il continente.
Uno studio, pubblicato dalla rivista Cell, ha effettuato le sue ricerche in merito grazie ad un nuovo metodo di analisi, basato sui dati dei progetti "UK10K, 1000 Genomi e Differenze dal Genoma Simons" (specie di catalogo di genomi di 300 individui appartenenti a 142 diverse popolazioni). Quindi gli umani moderni (Homo sapiens sapiens, Neandertal e Denisova) sono esistiti nelle stesse epoche, incrociandosi e scambiandosi porzioni di DNA. Ma erano umani geneticamente diversi, pur avendo un antenato comune (che si pensa sia esistito per un milione di anni, e sia originario del continente africano).
Quanto a Spagnoli e Italiani, abitanti nell'estremità meridionale dell'Europa, si può affermare che nel loro DNA non esistono geni denisoviani, e che la percentuale di geni Neandertaliani è molto bassa (in base ai 5.639 individui esaminati).
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