News

  • Ricordando Lidia Cicerale

    Lidia Cicerale (prima a sinistra, insieme ad Attilio Gaudio) nel 2000, in una delle biblioteche del deserto della Mauritania (foto Sam Selmou)

    Il Centro Studi Archeologia African (CSAA - www.csaamilano.it ) ha ricordato con una giornata speciale "l'avventura umana e scientifica" di una persona che per trent'anni è stata l'anima e la mecenate di questo centro milanese, sito presso il Museo civico di Storia Naturale di Milano. Erano presenti in molti: gli innamorati dell'Africa e dell'archeologia, la famiglia commossa, e soprattutto i collaboratori, i co-fondatori del Centro, e gli studiosi che via via si sono inseriti ed hanno partecipato alle numerose missioni sul terreno, ricerche, congressi, seminari. "Sarà il nostro modo, hanno scritto gli organizzatori,  per ricordare Lidia Cicerale e per presentare una serie di nuovi contributi alla storia dell’Africa e, più in generale, alla conoscenza della vicenda umana."

    Hanno preso la parola Giulio Calegari e Giorgio Terruzzi, rievocando gli inizi e l'entusiasmo e la disponibilità di Lidia, e insieme a lei gli oltre 30 anni di vita del Centro Studi Archeologia Africana. Poi Gigi Pezzoli, attuale presidente del CSAA, ha presentato "Pierre Reinhard: un ricercatore francescano nel Nord Togo". Altri interventi hanno illustrato esplorazioni e ritrovamenti recenti nel Deserto Libico (Maria Emilia Peroschi e Flavio Cambieri) - il Gran Mare di Sabbia, GSS, e l'origine delle società moderne (Lorenzo De Cola) - il poggiatesta, confronto tra l'etnografia africana e l'antico Egitto (Franco Di Donato) - vita con una famiglia tuareg nell'oasi di Djanet, Algeria (Giovanna Soldini). E poi: Gilberto Modonesi: percezione del mondo nilotico da parte dei Romani - Itala Vivan: musei delle migrazioni, alle porte d'Europa (partendo dalla Porta d'Europa di Mimmo Paladino a Lampedusa) - Barbara Barich: il potere dell'immagine nella preistoria del Sahara. Infine Christian Dupuy (dell'Institut des Mondes africains) ha interpretato arti e società dell'Africa settentrionale in maniera molto interessante , parlando di una "médiation horizontale" (con la vita quotidiana, la sopravvivenza, tutto ciò che circonda l'uomo al suo livello) e la "médiation verticale", lo spazio virtuale del soprannaturale, del magico, del mistero.

    E per concludere, Giulio Calegari, "armato" di uno strumento musicale (comprato da Lidia) che non ha potuto suonare per mancanza di corde, ha lanciato "sguardi spontanei e voli pindarici sull'arte rupestre", e proiettato immagini di graffiti rupestri eritrei, in cui compare lo stesso strumento.

     

     

     

     

  • Migrazioni e incroci di Homo

    Browning et al./Cell - Il grafico mostra le migrazioni dei Denisoviani  in Asia e Oceania, e ipotizza genomi misti con Neandertaliani e sapiens moderno.

    Infatti, da quando è stato analizzato nel 2010 il genoma dell'Homo di Denisova (a partire da pochi fossili: una falange e due molari), sappiamo che alcune popolazioni dell'Oceania (Papua, Nuova Guinea, isole Cercanas) contengono nel loro DNA il 5% di quello di Denisova. Anche le popolazioni dell'est e del sud dell'Asia contengono lo 0,2% del DNA denisoviano, ma sembra che questo sia dovuto a migrazioni (e quindi incroci) delle popolazioni oceaniche verso il continente.

    Uno studio, pubblicato dalla rivista Cell, ha effettuato le sue ricerche in merito grazie ad un nuovo metodo di analisi, basato sui dati dei progetti "UK10K, 1000 Genomi e Differenze dal Genoma Simons" (specie di catalogo di genomi di 300 individui appartenenti a 142 diverse popolazioni). Quindi gli umani moderni (Homo sapiens sapiens, Neandertal e Denisova) sono esistiti nelle stesse epoche, incrociandosi e scambiandosi porzioni di DNA. Ma erano umani geneticamente diversi, pur avendo un antenato comune (che si pensa sia esistito per un milione di anni, e sia originario del continente africano). 

    Quanto a Spagnoli e Italiani, abitanti nell'estremità meridionale dell'Europa, si può affermare che nel loro DNA non esistono geni denisoviani, e che la percentuale di geni Neandertaliani è molto bassa (in base ai 5.639 individui esaminati). 

     

     

     

  • UN MISURATORE SOLARE PREISTORICO

    L’archeologa  Mercedes Versaci (Gruppo PAID HUM-812 del dipartimento di Preistoria dell’ Università di Cadice) ha scoperto – in  una grotta della Sierra della Plata, punta meridionale della penisola iberica vicino a Gibilterra - una pittura rupestre che funge da indicatore solare. Una scoperta finora unica in Spagna. Stava preparando una tesi (dal titolo “El sol, símbolo de continuidad y permanencia: un estudio multidiscilpinar sobre la figura soliforme en el arte esquemático de la provincia de Cádiz”) nella zona intorno alla laguna de La Janda, (oggi a secco) nel comune di Tarifa, dove sono stati registrati circa trecento rifugi preistorici con pitture rupestri. In ventidue di essi  appare una figura a forma di sole.

    Ma nella Cueva del Sol (una piccolissima grotta di difficile accesso ma molto visibile) la studiosa ha scoperto un disco di 24 centimetri, geometricamente perfetto, con dodici raggi orientati verso il calar del sole. E l’unico raggio  dipinto coincide con  l’ultimo filo di luce del crepuscolo del solstizio d’ inverno. Quindi una specie di calendario agricolo per sapere quando le giornate avrebbero iniziato ad allungarsi e seminare, quando le piante sarebbero cresciute insieme al sorgere del sole più presto ogni giorno, quando ci sarebbe stato il raccolto, quando la terra avrebbe avuto un periodo di riposo. E questo ciclo si sarebbe compiuto al successivo solstizio d’inverno per ricominciare. Quindi una concezione del tempo circolare e una pittura rupestre risalente molto probabilmente alla preistoria recente, quando l’uomo già praticava l’agricoltura. Infatti le piante sono rappresentate in altre grotte con figure ramiformi e associate a idoli per rituali magici.

                               

    Fonte: europasur.es | 22.01.2017 - Red Española de Historia y Arqueologia

     

     

     

  • Stonehenge esisteva prima del genere umano?

    La rivista British Archaeology ha pubblicato i risultati di uno studio del ricercatore inglese Mike Pitts, secondo il quale due delle famose pietre di Stonehenge sarebbero preesistenti all'arrivo dell'uomo in Inghilterra. Questo sito, il più celebre ed imponente cromlech (circolo di pietra) della preistoria, si trova ad Amesbury nello Wiltshire, circa 13 chilometri a nord-ovest di Salisbury (sud dell'isola). Le rocce, chiamate Heel Stone (Pietra del tallone), sono poste a 1,75 metri dal centro del circolo, dove si trova la Stone 16, e i loro fori sono allineati con il sorgere e il calar del sole ai solstizi di inverno ed estate.

     Da anni archeologi e storici si interrogano sul significato del misterioso monumento circolare di pietra. La datazione radiocarbonica indica che la costruzione fu iniziata nel 3100 a.C., e si concluse verso il 1600 a.C.. In base alla nuova ricerca invece si pensa che almeno due pietre siano del tutto naturali, sempre esistite in loco.

    Infatti lo stesso Pitts, nel 1979, aveva trovato, scavando vicino al sito, resti di queste pietre, che sarebbero state trascinate a valle dall'azione di un ghiacciaio dalla vicina catena collinare (Marlborough Down) poi abitata dai pastori nomadi del paleolitico e del mesolitico.

    In effetti si è sempre pensato che queste pietre di sarsens (blocchi di arenaria locale), del resto diffusissime in tutta la Gran Bretagna, provenissero dai rilievi vicini e sarebbero rimaste parzialmente interrate; altre, ma moltissimi anni dopo,  sarebbero state trascinate da altri luoghi per completare il monumento.

    Ma perché pietre del tallone? La tradizione racconta che il diavolo "comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon, le altre vennero portate sulla piana. Il diavolo allora gridò, "Nessuno scoprirà mai come queste pietre sono arrivate fin qui". Un frate rispose, "Questo è ciò che credi!", allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate e lo colpì su un tallone. La pietra si incastrò nel terreno, ed è ancora lì."

     

     

     

  • Costa d'Avorio, migrazione e miele

       Secondo i dati delle autorità italiane e del ministero degli interni della Costa d'Avorio, almeno 1500 ivoriani sono censiti ogni mese sulle coste italiane. E un terzo dei migranti che arrivano in Italia provengono dall'ex colonia francese del golfo di Guinea. Passano da Daloa, nel centro-ovest del paese, o da San Pedro nel sud-ovest, diretti comunque in Libia per poi raggiungere l'Europa. Eppure la Costa d'Avorio, paese poco popoloso e ricco di materie prime agricole come caffè e cacao, esercita, a sua volta, una forte attrazione sugli africani stessi dei paesi confinanti: Togo, Benin, Burkina Faso, Mali, Guinea, Senegal.
    Questa immigrazione dai paesi della sotto-regione francofona era stata favorita dalla Francia. E per tre decenni questa politica liberale aveva dato il diritto  ai "fratelli" dell'Africa occidentale di avere accesso alla terra ivoriana, ai pubblici impieghi e persino a diverse elezioni.
    Il clima è progressivamente e profondamente cambiato. Se i giovani ivoriani sono attirati dall'Europa o dal Canada, i confinanti sono attirati per le stesse ragioni dalla Costa d'Avorio. In effetti, secondo il FMI, questo paese sarà leader nella regione in materia di crescita economica per i prossimi due anni, con cifre tra il 7% e l'8%. Tuttavia in alcune regioni periferiche il tasso di disoccupazione resta alto. Per gli immigrati è difficile trovare lavoro, e più facile entrare nelle spire della criminalità. 
    Gli sforzi dei paesi occidentali, insieme alle nazioni africane terra d'esportazione, dovrebbero favorire il legame tra i nativi e la loro terra, non il land grabbing o l'importazione di manodopera e di cervelli.
    Una piccola iniziativa esemplare da moltiplicare, per legare invece gli africani alla loro terra, è nata nel nord ovest della Costa d'Avorio a Kani, zona tropicale. Qui molti giovani di etnia mossi, provenienti dal Burkina Faso (ex Alto Volta) dove hanno abbandonato le terre d'origine, sono migrati per cercare un improbabile lavoro. Così un giovane missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), il brasiliano padre Valmir Manoel Dos Santos, ha lanciato un progetto di apicoltura!
    Si chiama "Wend Songda", cioè "onnipotenza di Dio" nella lingua mooré parlata dai mossi. Una piccola realtà in un contesto prevalentemente musulmano (90%), con 7-8% animisti, 2% cristiani e 1,5% cattolici. Con l'aiuto del consiglio parrocchiale di Kani, di alcuni esperti locali e della capitale Abidjan, (ma anche della Fondazione Pime) sono state installate cinquanta arnie e il miele verrà raccolto e commercializzato dalla cooperativa creata allo scopo. In effetti il miele è molto ricercato in tutto il paese, e nella zona la produzione è scarsa. Inoltre il progetto incoraggia anche l'autonomia oltre alla formazione, poiché una volta imparato il "mestiere", gli apicoltori, anche non cristiani, potranno lavorare anche in proprio, senza abbandonare la cooperativa.

  • Paleoantropologia, nuova scoperta in Israele

    Una vertebra umana preistorica, datata 1,5 milioni di anni,  è stata scoperta nel nord di Israele, nella valle del Giordano, a Ubeidiya, dagli archeologi della Università Bar-Ilan, diretti da  Alon Barash, insieme al Collegio Accademico Ono, l’Università di Tulsa e l’Autorità delle Antichità di Israele. Importante scoperta, che  dimostra l'esistenza di ondate migratorie diverse "out of Africa". Infatti é il secondo fossile arcaico di ominide trovato al di fuori dell’Africa; i più antichi risalgono a 1,8 milioni di anni fa e sono stati rinvenuti a Dmanisi, in Georgia.

    Vertebra, Ubeidiya (Israele)- foto a) superiore b) posteriore c) inferiore d)frontale (Dr. Alon Barash, Università Bar-Ilan)

    La storia di questo osso inizia nel 1959, quando un agricoltore del Kibbutz Afikim, lavorando un terreno in una zona che non era ancora riconosciuta preistorica, portò alla luce alla luce alcune ossa, inclusi un teschio e alcuni denti. Gli scavi iniziarono nel 1960, e nel 1966 l’archeologo Moshe Stekelis trovò questa vertebra, che fu messa in una scatola con la scritta "Homo?" e dimenticata. Dopo vent’anni, la paleoantropologa dell’Università di Tulsa, Miriam Belmaker, che stava lavorando sulla ricostruzione del paleoclima dell’Ubeidiya preistorica, rianalizzò tutti i fossili trovati nel sito. E, scoprendo quel pezzo di spina dorsale, capì subito che non era una scimmia: il reperto, non completamente ossificato, è molto più grande anche di quello degli erectus africani. Secondo gli scienziati, poteva trattarsi di un caso di ossificazione ritardata, e in tal caso il bambino, pur restando un soggetto molto “robusto”, avrebbe avuto un’età compresa tra 6 e 12 anni alla morte, un'altezza presunta di un metro e mezzo, e un peso di 45-60 chili!

    Tuttavia, da allora iniziò un incessante studio comparativo su tonnellate di vertebre di antichi ominidi, umani moderni, iene, rinoceronti, leoni, scimmie e altri animali sospetti. In conclusione, dopo aver fatto una comparazione delle tre vertebre presacrali inferiori (negli esseri umani moderni, nei Neanderthal, negli Australopitechi, e negli scimpanzé) e dopo aver escluso che si trattasse di un animale, gli scienziati hanno stabilito la giovane età dell’ominide in base alla parziale ossificazione. Il che fa però ipotizzare una possibile statura media in età adulta intorno ai 2 metri.

    E' stata studiata anche la cultura materiale dei due siti, georgiano e israeliano. Mentre a Ubeidiya i manufatti di pietra e silice, le accette di basalto, gli utensili da taglio sono associati alla cultura acheuleana avanzata (Paleolitico inferiore), gli utensili di pietra di Dmanisi appartengono alla cultura olduvaiana primitiva (Paleolitico inferiore arcaico), risalente a ondate di migrazioni di ominidi arcaici durante il Gelasiano, il periodo più antico del Pleistocene.

    Quindi le due diverse industrie sono state prodotte da due diverse specie umane arcaiche. E il bambino "gigante" della Valle del Giordano e l’Homo georgicus di Dmanisi non sarebbero della stessa specie. Il che significa che gli archeologi hanno scoperto una nuova specie, un anello mancante nell'evoluzione umana, e che le migrazioni in Africa avvennero in più ondate, in un lasso di tempo che le separa tra loro dai 200.000 ai 300.000 anni.?

    Per Alon Barash non c'è dubbio: "Data la differenza tra le dimensioni e la forma di questa vertebra e quelle riscontrate in Georgia riteniamo evidente e senza equivoci la presenza di due ondate migratorie distinte". Da un altro punto di vista, la paleoantropologa Miriam Belmaker (Università di Tulsa) afferma in sintesi: Una delle principali domande rispetto alla diffusione umana fuori dall’Africa sono le condizioni ecologiche. In teoria si discute se gli antichi ominidi, lasciando le foreste africane, avessero preferito un habitat di savana o di bosco umido. La scoperta di due specie diverse a Dmanisi e Ubeida, concorda con un clima diverso: più umido e compatibile con quello mediterraneo vicino al lago, e più secco e boscoso nel Caucaso. Inoltre le due specie hanno prodotto due tipi di utensili di pietra diversi.

    In conclusione l’antica migrazione umana dall’Africa verso l’Eurasia, di circa 1,8 milioni di anni fa (nel Caucaso, Repubblica di Georgia), non fu un evento unico, ma è stata seguita da una seconda, di approssimativamente 1,5 milioni di anni, in Israele a sud del lago di Tiberiade, il Mar di Galilea.

     (ECG)
  • Kolowaré 2°

    Scrive Padre Galli: VISITE DALL'ITALIA

    Ancora una volta il Centro Sanitario di Kolowaré ha ospitato un gruppo di medici e dentisti dell’AVIAT (Associazione Volontari Italiani Amici Togo). Questo organismo aveva già provveduto, qualche anno fa, ad allestire un gabinetto dentistico nel Centro, ed ora è perfettamente funzionante. Questo ambulatorio continua la sua attività con un tecnico dentista formato dai dentisti italiani. Questa volta il gruppo era numeroso: presente il responsabile, dottor Gianfranco Mirri, due dentisti, Alessandro e Denis, quattro dottoresse e una infermiera. Con loro erano presenti alcuni oculisti locali che hanno operato un centinaio di pazienti di cataratta. Tutte le spese, intervento, medicine, vitto e trasporto per medici e ammalati, sono stati presi in carico dall’AVIAT.

                      

    Operati in attesa di controllo - Pazienti in attesa

    Il gruppo si è installato al Centro Sanitario, guidato dalla nuova responsabile suor Claire. Il primo giorno hanno lavorato solo la mattinata. Nel pomeriggio siamo andati tutti in un villaggio della parrocchia di Affem Kabyè, ad una cinquantina di km da Kolowaré, per vedere i lavori di scavo per un pozzo, offerto da due dottoresse. Le macchine trivelle erano già sul posto e al lavoro dal mattino. Ad una settantina di metri hanno trovato una roccia, perforata, e da sotto è zampillata una polla d’acqua talmente importante, limpida e pulita, che tutti si sono messi ad applaudire.

                          

    Ad Affem per il rinfresco- E l'acqua esce in abbondanza

    Padre Roberto, il parroco, ci ha poi condotto ad Affem dove, in un parco allestito nel terreno della parrocchia, ha offerto a tutti un rinfresco con pollo arrosto e frittelle di ignami. Affascinati dal posto e dall’ambiente i dottori hanno deciso di venire, il giorno dopo, a curare gli ammalati del luogo. Siamo poi ritornati sul luogo del nuovo pozzo e l’acqua fluiva abbondante. E così martedì 9 novembre tutti i medici, meno i dentisti, sono tornati ad Affem per offrire cure e medicine gratis a tutti.   

                                          

    Con Gamal accanto al nuovo pozzo - Bambino appena operato

    La voce della loro presenza si era diffusa. Il villaggio di Atchibodow è venuto a chiedere di fare una trasferta anche da loro. Giovedì 11, accompagnati da Jean, l’infermiere del Centro, si sono recati al villaggio. Fine mattinata passo a trovarli. I pazienti gremivano la piazza della Chiesetta. Era certamente molto laborioso avere un’attenzione particolare per ogni paziente.

                           Dentisti al lavoro

  • Persia: graffiti di cinquemila anni

    Un'équipe di archeologi ha scoperto nella regione di Isfahan, lungo il percorso di antiche vie di comunicazione commerciali, economiche e culturali, antiche rocce incise con vari segni e simboli, risalenti al terzo millennio a.C. (età del Bronzo) fino al periodo preislamico.

      incisioni a Meymeh

    Lo ha annunciato il capo della Isfahan's Cultural Heritage Organisation, Fereydoun Alahyari, sottilineando che si tratta delle prime manifestazioni, nella regione, di una forma di comunicazione non verbale e intuitiva tra popolazioni vicine preistoriche.

    E' durante le ricerche nelle città di Shahin Shahr e Meymeh, poi estese a Kashan, Ghamsar,  e Golpayegan verso nordest, che sono state fatte varie scoperte: un'antica collina del periodo sasanide (224-651 d.C., secondo impero persiano), una zona mineraria del periodo samanide (819-1005 d.C.), varie tombe  anch'esse preislamiche.

    Così, cinquemila anni fa, antiche strade collegavano -grazie alle indicazioni di queste pietre, conosciute come Negarkand- le economie e le civiltà degli abitanti dell'altipiano iraniano, ben prima dell'arrivo di altre popolazioni scese da nord.

  • Scoperto un altro tempio solare in Egitto

    Sarebbero state trovate in Egitto le tracce di uno degli antichi templi solari costruiti dai faraoni; sarebbe il terzo dei sei di cui si ha notizia. Dedicati al dio Ra e al culto del sole al tramonto, questa tipologia di templi solari compare durante la V dinastia; venivano eretti dai faraoni per assicurarsi lo stato di dei durante la vita (mentre le piramidi garantivano loro l'eternità dopo la morte).  Ubicati ad ovest, da un accesso in penombra si giungeva, attraverso articolati passaggi al buio, ad un cortile sacro inondato dalla luce del sole; al centro, un obelisco e un altare per le offerte. Nei templi a cella invece si passava dalla luce solare al buio.

    Il primo tempio solare di cui abbiamo notizia è quello denominato Nekhen Ra (Fortezza di Ra) eretto 4500 anni fa da Userkaf, primo sovrano della dinastia, nel sito di Abu Ghorab. Si trova nel Basso Egitto, a sud-ovest del Cairo, sulla riva ovest del Nilo, dove inizia il deserto occidentale. 

    Il tempio solare meglio conservato è probabilmente quello di Nyuserra (Shesepu-ib-Ra, Delizia del cuore di Ra), quinto sovrano della dinastia, che regnò per un periodo di 24-35 anni nel 25° secolo a.C.. Fu scoperto dall'inglese Perring nel 1837 ma era già noto con il nome di "Piramide di Reegah”; fu poi studiato dall’ archeologo tedesco Ludwig Borchardt nel 1898. Si trova all’estremità settentrionale della necropoli di Abusir, campo sepolcrale dei faraoni della V dinastia (2465-2323 a.C.) e area centrale, per tutto il III millennio a.C., di quella che fu la più grande necropoli d’Egitto, presso Menfi, capitale durante l’Antico Regno (2575-2150 a.C.), e oggetto di nuovi studi una decina di anni fa.

    Ma per cinquant'anni non si sono verificate nuove scoperte di templi solari. Invece ora, scavando sotto i resti di questo tempio, gli archeologi hanno trovato,  dopo aver tolto la sabbia e i frammenti di pietra, la base di un pilastro di calcare bianco profondo 60 centimetri; poi una base più antica di mattoni e lastre di fango. Inoltre la scoperta di un nascondiglio segreto, con parecchie coppe da birra insabbiate nelle fondamenta (offerta rituale degli antichi Egizi nei luoghi più sacri) indicherebbe di essere in presenza proprio di un tempio solare, più antico e quindi sottostante al tempio di pietra.

    Il professor Massimiliano Nuzzolo (egittologo presso l'Accademia delle Scienze di Varsavia) afferma che si era già a conoscenza che c'era "qualcosa" sotto il tempio di pietra di Nyuserra; il fatto che si sia trovato un grande ingresso fa pensare ad un preesistente edificio, "forse un altro tempio solare, uno dei templi solari scomparsi..."

    Con la fine della V dinastia il tempio solare diventa meno importante. Ritorna poi con il Nuovo Regno, nella città di Amarna, con Akhenaton e il culto monoteistico di Aton, dio del sole e garante di vita. Il culto del sole aveva avuto origine già nel periodo predinastico, con i Shemsu-Hor, gli adoratori del dio sole, il "Signore dei due orizzonti".

     

  • Gaudio tradotto in arabo

    Lo studioso e amico Vermondo Brugnatelli (linguista, docente universitario, ricercatore, esperto di lingua berbera) è venuto quasi casualmente a conoscenza di un libro di Attilio Gaudio tradotto in Arabo.  
                                                                                                                             
         
                                                                                                  
    Recentemente ha partecipato ad un convegno a Tokyo sugli Ibaditi (islamiici non sunniti nè sciiti, unico ramo sopravvissuto dei kharigiti, religione fondata da ‛Abd Allāh ibn Ibāḍ al-Murrī, in Mesopotamia nell'8° secolo).
     
    Qui ha incontrato dei berberi musulmani ibaditi dello Mzab (Sahara algerino) che gli hanno parlato di un "bel libro scritto da un italiano", di cui non ricordavano il nome, che parla delle donne di Ghardaia (città principale della valle dello Mzab), e in particolare di una berbera mozabita. E questo libro era stato perfino tradotto in arabo, e pubblicato a Beirut.
     
    L'autore è proprio Attilio Gaudio (anche se il nome scritto in stampatello sulla copertina è Caudio!) che ha scritto sessant'anni fa “La révolution des femmes en islam” edito da René JULLIARD, 30 rue de l'Université, Paris, 1957. Finora il libro non è mai stato pubblicato in italiano, ma esiste anche il testo in pdf dell'edizione araba.
    Esiste un altro libro di Gaudio sull'argomento, scritto parecchi anni dopo con la collega dell'Agenzia Ansa di Parigi Renée Pelletier:  "Femmes d'Islam, ou le sexe interdit" (editore DENOEL/GONTIER, 1980 - 19, rue de l'Unversité, Paris 7°, collection femme.)
  • Togo, religioni e riti

     )        

    La missione della SMA a Kolowaré (foto Silvano Galli)

    Dal Togo, padre Silvano Galli, missionario della SMA (Società Missioni Africane) ci invia ogni mese una storia, una testimonianza, un film documentario di parole e immagini sulla vita quotidiana a Kolowaré. Questa volta il messaggio è importante: il tipo di rapporti che esistono in questo angolo d'Africa fra Cristiani e Musulmani. Reciproco rispetto e partecipazione. Ecco in breve il suo racconto. 

    "Lunedì 12 settembre abbiamo festeggiato l’Aïd el Kebir, o Tabaski. La festa ha luogo due mesi lunari e dieci giorni dopo la fine del Ramdam. Kolowaré è alla grande festa, per piccoli e grandi. Nella tradizione musulmana questa festa commemora il sacrificio del figlio di Abramo, Ismaele, cui l’angelo Gabriele ha sostituito un ariete. Abramo è colui che adora il Dio unico senza compromessi, modello per ogni musulmano. La sua fede comporta sottomissione e obbedienza. Con la celebrazione dell’Aïd el kebir i musulmani si uniscono ai pellegrini della Mecca che, in questo giorno, terminano il loro pellegrinaggio centrato sulla domanda di perdono... ".

    Padre Galli , invitato, cerca l'amico Bassarou e gli dà la somma pattuita per partecipare alla cerimonia. "Davanti gli uomini, dietro le donne e i bambini. Inizia la grande preghiera. E’ l’Imam che la dirige. I fedeli, in piedi, in ginocchio, prostrati, seguono le sue indicazioni. Preghiera di intercessione, adorazione, ringraziamento, perdono. Al termine, mentre l’assemblea si scioglie, l’Imam e il capo villaggio continuano con preghiere personali per tutta la comunità e una esortazione sui problemi del villaggio." 

    Poi i fedeli si dirigono verso l'abitazione dell'Imam, davanti alla quale sarà immolata  la prima vittima.

    "Un gruppo di gente è attorno al bue steso e legato a terra. Gli viene chiuso il muso, poi il sacrificatore si avvicina e fa questa preghiera: Nel nome di Allah! Dio è grande! Mio Dio, da te, di te, e per te questo sacrificio. Accettalo da me come l’hai accettato dal tuo amico Abramo. Con un taglio netto recide poi la iugulare aprendo poco alla volta il collo dell’animale. Il sangue cola nella fossetta sottostante. Tutt’attorno un nugolo di gente che partecipa intensamente al rito. Bassarou mi accompagna nella piazza accanto dove sarà sacrificato un grosso giovenco, offerto in nome del capo villaggio. Con una novità. Un musulmano tedesco fa la preghiera prima  dell’immolazione, evocando e pregando per i sette amici che hanno contribuito all’acquisto dell’animale."  Padre Silvano si avvia poi verso le corte di Afo Goma per partecipare al sacrificio in onore del vecchio padre Wuro Adam, deceduto un paio di anni fa.

    Ma un giovane della missione lo cerca urgentemente perché "è deceduta Adjeretou, l’abbiamo portata al cimitero alle 3 di stanotte”. Altro dramma nella comunità cristiana: la notte precedente era deceduto, in un incidente stradale, il giovane Prosper Assimadi, e il padre è stato chiamato per il funerale.

    Ma la festa al villaggio continuerà per tutta la settimana. E non è finita! Pochi giorni dopo, alle 7 è arrivata alla missione una delegazione del capo villaggio con tre bacinelle di grossi ignami e due polli. E' il loro contributo alla festa del sabato  successivo, giorno in cui Padre Silvano ricorderà con la comunità  suoi cinquant'anni di ordinazione (avvenuta ad Omegna, sul lago Maggiore, il 1° ottobre 1966).

    Questa festa è poi durata tre giorni, e ai presenti, comprese le delegazioni dei villaggi, padre Silvano ha offerto un pacchetto di mandorle con la scritta: “sotto l’apparenza rugosa della scorza, si trova la preziosa mandorla”. Al termine di canti e danze, si avvicina l'amico Giagafo: “Grazie per aver festeggiato con noi, e non nel tuo villaggio d’origine, anasara moola”  (Bianco moola, il clan regale dei Kotokoli).

    P. Silvano Galli Kolowaré, B.P. 36 SOKODE - Togo
    T. 00228. 90977530 - 00228.24451012

  • Kolowaré 1°

    Da Padre Silvano Galli (conosciuto in Costa d'Avorio tanti anni fa) ricevo regolarmente le interessanti "cronache di Kolowaré" *. Questa volta pubblico quasi integralmente (in due puntate) il suo messaggio con relativa cronaca e foto.

    Hanno appena lasciato Kolowaré. Quattro dottoresse, una infermiera, due dentisti, e il capo gruppo dell’AVIAT, di cui il gruppo fa parte, il ginecologo Gianfranco Mirri. Tutti dell’Emilia Romagna. La loro presenza ha coinciso con l’operazione della cataratta per un centinaio di persone.

               

    Due dottoresse del gruppo hanno voluto anche fare un gesto molto concreto, oltre al loro lavoro di medico a Kolowaré e altrove. Hanno finanziato un “forage”, cioè una trivellazione, per un pozzo, con annessa pompa. E hanno potuto assistere alle varie fasi dei lavori. E il giorno dopo sono ritornati nel villaggio per una giornata di cure, di assistenza, di visite agli ammalati del villaggio e dintorni. Qualche nota e foto su questo dono che l’AVIAT, ancora una volta, ci ha fatto. (segue)

                       

    *Silvano Galli - Paroisse St Léon IX - Kolowaré

    300 - B.P. 36  SOKODE -TOGO

    1. 00.228. 90977530  (WhatsApp)
    2. www.split.it/noprofit/koloware

     

  • Lo Sciamano del legno antico

    Arte africana? Solo la seconda foto! che ritrae alcune (tra le migliaia) opere d'arte africane raccolte ed esposte da Adolfo Bartolomucci nella sua galleria milanese*. La prima invece è arte alpina, della Val Gardena, dove la scultura lignea fa parte della tradizione secolare, e l'artista è Adolf Vallazza,  scultore di fama mondiale.  Nei due casi: arte o artigianato oppure entrambi? non ha importanza, il risultato è sempre qualcosa che evoca passato e presente, stupisce, emoziona, risveglia tutti i sensi. Protagonista è sempre il legno.

                      

    (foto Lucio Rosa)                                                                                  (foto Mila C.G.)

    L'artista africano sceglie il suo albero in funzione dell'oggetto da scolpire; così statua, maschera, feticcio, totem sarà il veicolo attraverso il quale gli spiriti, le divinità, gli antenati e le forze della natura si rendono presenti e visibili nello spazio umano. Gli oggetti di utilità quotidiana, quali spole per tessere, ciotole, sgabelli, sedie, alzatesta, strumenti per la cucina, sono fabbricati con molta cura. Per ogni settore della cultura esistono una serie di simboli e di stili specifici, compresi dalla comunità. 

    Anche l'artista alpino, "vive del legno, nel legno, parla con il legno...". Per questo il regista Lucio Rosa, bolzanese, gli ha dedicato il film** "Adolf Vallazza, sciamano del legno antico" presentandolo con queste parole: " Il bosco, silente e ordinato, i tronchi ravvicinati e umidi si sono affidati ad Adolf Vallazza. Un viaggio assorto e pieno di attese finisce nei linguaggi e nelle forme dell'uomo contemporaneo. L'artista non interroga la materia - che è già sua - ma il genio dei luoghi che l'ha generata. Con lui tesse il dialogo serrato che porta alle trasformazioni dei legni, programma i loro destini futuri e in loro soffia il suo spirito."

    Lo sciamano viene generalmente considerato come un guaritore e un mediatore tra il mondo conosciuto della realtà ordinaria e il mondo spirituale. L'arte di Adolf Vallazza può essere antropologicamente considerata sciamanica, perchè lavora legni antichissimi, a volte secolari, recuperati nelle case contadine delle sue valli: vengono dalle pareti delle stube, hanno visto la storia, passare tante generazioni e vicende, i vivi e i morti; sono corrosi, consumati, mangiati dalle tarme, con i segni delle scarpe chiodate dei contadini, che hanno camminato su di loro per anni e anni. Anche il colore varia a seconda della loro vita. Ci sono i legni grigi, i bluastri che hanno preso la pioggia, e quelli rossi, che sono bruciati dal sole. E' come un "viaggio" nel passato e in altre tradizioni la scultura in questi legni, che hanno vissuto e trasmettono "messaggi" dai mondi spirituali invisibili alla realtà. E poi ci sono le leggende nei paesi delle montagne, le Dolomiti; "anche se astratte, le  mie sculture, afferma Adolf, rispecchiano queste suggestioni. È il mio ambiente, la mia storia che mi ha dà l’ispirazione per la scultura. " 

    Il Maestro Adolf  Vallazza nasce nel 1924 ad Ortisei. Il padre è scultore in ferro; il nonno materno, Josef Moroder Lusenberg, è un pittore. Adolf fin da piccolo ama le arti e il disegno e  intaglia il legno. Negli anni quaranta e cinquanta inizia lavorare il legno dell'ulivo; per mantenere la famiglia e per passione diventa artigiano, con una ditta e sette operai. Crea statue per le Vie Crucis, crocifissi, sculture religiose della tradizione gardenese. Ma si ritaglia del tempo per studiare e fare ricerche, apre il suo studio di scultore ad Ortisei, e abbandona il legno dell'ulivo perchè lo considera di per sè già "un'opera d'arte della natura". Le prime sculture sono classiche, poi comincia a  sperimentare forme stilizzate e materiali nuovi, fino alle opere che l'hanno reso famoso, i Totem e i Troni. Ha quasi quarant’anni e infine può dedicarsi solo all’arte. Passa all'astratto, ispirato da Marino Marini, Henry Moore, e soprattutto dal grande Constantin Brâncuși, maestro per la sua semplicità, la capacità di ridurre i volumi, l’iconografia delle “colonne”. Sono gli anni '60; inizia ad allestire le sue prime mostre personali in Italia e all'estero. Nel 1968 cominciano a frequentare il suo studio d'artista importanti critici milanesi, come Marussi, Budigna e Mascherpa.