Al Pime di Milano (via Mosé Bianchi 94) si parlerà mercoledì 12 ottobre 2016 (ore 21) dell'attualità di Charles De Foucauld a cent’anni dalla sua morte.  "Sorella ANTONELLA FRACCARO delle Discepole del Vangelo, grande conoscitrice del “Fratello Universale”, cerca di tradurre nella quotidianità della sua vita, insieme alle consorelle, la spiritualità di De Foucauld, declinata in uno dei tanti «piccoli nidi di vita fervente e laboriosa» che sono nati dalla sua ispirazione, a servizio di Dio nell’adorazione eucaristica e nell’annuncio rispettoso e discreto del Vangelo." Il suo intervento, precisa il Centro Missionario, si inserisce nel ciclo di incontri dell’OTTOBRE MISSIONARIO PIME 2016 sul tema: “FRONTIERE. PERCORSI DI RIFLESSIONE AI CONFINI DELL’ESISTENZA”.

Inoltre, sabato 3 dicembre, si terrà a Milano presso la Caritas Ambrosiana (via S.Bernardino 4, ore 10,30) un convegno in ricordo del "piccolo fratello universale".

Come ogni martedì, Nigrizia organizza un incontro-dibattito-informazione su un argomento di attualità. Il 5 aprile 2016 (ore 20,30 – sala Africa dei Missionari Comboniani in Vicolo Pozzo 1, Verona) si parla di Libia, la sfida del Gruppo Stato Islamico. Sarà un dialogo tra il direttore di Nigrizia, p. Efrem Tresoldi, con il prof. Antonio M.Morone, ricercatore in Storia dell’Africa all’Università di Pavia. “La guerra non è il mezzo adeguato per sconfiggere il terrorismo del Gruppo Stato islamico (Is) né tantomeno per portare stabilità in Libia». È un passaggio del documento contro la guerra, lanciato il 9 marzo dalle riviste missionarie e dell’area nonviolenta.  

“La Libia rappresenta il classico esempio - scrive Nigrizia- degli orrori occidentali, applicati nel sud del mondo. Con la complice collaborazione delle petromonarchie del Golfo e dell’Egitto." Orrori, quindi errori, smania di potere, di risorse, di territorio, di appalti. Si dimentica  “che la Libia, -continua Nigrizia- come l’abbiamo imparata a conoscere sugli traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarieatlanti, non esiste più.  Dopo 42 anni di tirannia gheddafiana, i poteri formali non contano più nulla. E quelli informali sono impegnati ad arraffare ciò che vale tra Sahara e Sahel: dai traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarie"..”  Tripoli, novembre 2009 (foto Mila C.G.)

Sarà possibile una soluzione politica? L’obiettivo è la spartizione del paese tra le potenze interventiste e i loro referenti locali? E’ il momento di agire con la forza?  “Magari con l’avallo dell’Onu. - conclude Nigrizia- al di là dei vari schieramenti in campo (il governo di Tobruk e quello di Tripoli; laico il primo, islamista vicino ai Fratelli musulmani il secondo) e delle decine se non centinaia di bande armate che controllano più o meno grandi fette di territorio”.

Per informazioni: Fondazione Nigrizia Onlus: 045.8092390 - Centro Missionario Diocesano: 045.8033519  - Missionari Comboniani -  37129 - Verona -Tel. 045.8092290 -www.fondazionenigrizia.it   www.nigrizia.it   www.museoafricano.org

 

 

 

 

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La missione della SMA a Kolowaré (foto Silvano Galli)

Dal Togo, padre Silvano Galli, missionario della SMA (Società Missioni Africane) ci invia ogni mese una storia, una testimonianza, un film documentario di parole e immagini sulla vita quotidiana a Kolowaré. Questa volta il messaggio è importante: il tipo di rapporti che esistono in questo angolo d'Africa fra Cristiani e Musulmani. Reciproco rispetto e partecipazione. Ecco in breve il suo racconto. 

"Lunedì 12 settembre abbiamo festeggiato l’Aïd el Kebir, o Tabaski. La festa ha luogo due mesi lunari e dieci giorni dopo la fine del Ramdam. Kolowaré è alla grande festa, per piccoli e grandi. Nella tradizione musulmana questa festa commemora il sacrificio del figlio di Abramo, Ismaele, cui l’angelo Gabriele ha sostituito un ariete. Abramo è colui che adora il Dio unico senza compromessi, modello per ogni musulmano. La sua fede comporta sottomissione e obbedienza. Con la celebrazione dell’Aïd el kebir i musulmani si uniscono ai pellegrini della Mecca che, in questo giorno, terminano il loro pellegrinaggio centrato sulla domanda di perdono... ".

Padre Galli , invitato, cerca l'amico Bassarou e gli dà la somma pattuita per partecipare alla cerimonia. "Davanti gli uomini, dietro le donne e i bambini. Inizia la grande preghiera. E’ l’Imam che la dirige. I fedeli, in piedi, in ginocchio, prostrati, seguono le sue indicazioni. Preghiera di intercessione, adorazione, ringraziamento, perdono. Al termine, mentre l’assemblea si scioglie, l’Imam e il capo villaggio continuano con preghiere personali per tutta la comunità e una esortazione sui problemi del villaggio." 

Poi i fedeli si dirigono verso l'abitazione dell'Imam, davanti alla quale sarà immolata  la prima vittima.

"Un gruppo di gente è attorno al bue steso e legato a terra. Gli viene chiuso il muso, poi il sacrificatore si avvicina e fa questa preghiera: Nel nome di Allah! Dio è grande! Mio Dio, da te, di te, e per te questo sacrificio. Accettalo da me come l’hai accettato dal tuo amico Abramo. Con un taglio netto recide poi la iugulare aprendo poco alla volta il collo dell’animale. Il sangue cola nella fossetta sottostante. Tutt’attorno un nugolo di gente che partecipa intensamente al rito. Bassarou mi accompagna nella piazza accanto dove sarà sacrificato un grosso giovenco, offerto in nome del capo villaggio. Con una novità. Un musulmano tedesco fa la preghiera prima  dell’immolazione, evocando e pregando per i sette amici che hanno contribuito all’acquisto dell’animale."  Padre Silvano si avvia poi verso le corte di Afo Goma per partecipare al sacrificio in onore del vecchio padre Wuro Adam, deceduto un paio di anni fa.

Ma un giovane della missione lo cerca urgentemente perché "è deceduta Adjeretou, l’abbiamo portata al cimitero alle 3 di stanotte”. Altro dramma nella comunità cristiana: la notte precedente era deceduto, in un incidente stradale, il giovane Prosper Assimadi, e il padre è stato chiamato per il funerale.

Ma la festa al villaggio continuerà per tutta la settimana. E non è finita! Pochi giorni dopo, alle 7 è arrivata alla missione una delegazione del capo villaggio con tre bacinelle di grossi ignami e due polli. E' il loro contributo alla festa del sabato  successivo, giorno in cui Padre Silvano ricorderà con la comunità  suoi cinquant'anni di ordinazione (avvenuta ad Omegna, sul lago Maggiore, il 1° ottobre 1966).

Questa festa è poi durata tre giorni, e ai presenti, comprese le delegazioni dei villaggi, padre Silvano ha offerto un pacchetto di mandorle con la scritta: “sotto l’apparenza rugosa della scorza, si trova la preziosa mandorla”. Al termine di canti e danze, si avvicina l'amico Giagafo: “Grazie per aver festeggiato con noi, e non nel tuo villaggio d’origine, anasara moola”  (Bianco moola, il clan regale dei Kotokoli).

P. Silvano Galli Kolowaré, B.P. 36 SOKODE - Togo
T. 00228. 90977530 - 00228.24451012

Valle dell’Omo N°1

   

Giovane dell’etnia Karo davanti a un'ansa del fiume Omo; circa un migliaio di Karo vivono sulla sua sponda orientale (foto Lucio Rosa)

Nell’estremo sud-ovest dell’Etiopia, tra i grandi laghi dell’enorme spaccatura geologica della Rift Valley sopravvive forse ancora per poco l’ultima regione “autentica” del continente: una vasta area di monti, aride savane e affluenti del fiume Omo.  Nel 1980 questa valle è stata inserita nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco per la sua straordinaria importanza geologica e archeologica. Qui sono stati trovati numerosi fossili di ominidi, soprattutto resti appartenenti al genere  Australopithecus e Homo, insieme ad utensili di quarzite risalenti a circa 2,4 milioni di anni fa. Un’area che si pensa abbia rappresentato una culla per il processo di ominazione negli ultimi milioni di anni. Qui abitano almeno una trentina di etnie di grande importanza antropologica ed etnografica, la preistoria ai giorni nostri. Qui opera la cooperazione italiana e lavora la società Salini-Impregilo.

Eppure: accesso negato ai giornalisti di Nigrizia (numero di febbraio 2016). Luca Manes e Giulia Franchi erano in Etiopia ”per scrivere un reportage sul ruolo della cooperazione italiana nel secondo paese più popoloso d’Africa, con tassi di crescita fra i più alti al mondo, combinati con questioni interne che chiamare problemi è un eufemismo: fame, violenza, povertà ancora diffusa e un sistema politico basato su un monopartitismo di fatto”. Raccontano: “Avevamo scelto di visitare alcuni progetti per la riduzione del rischio nel settore acqua, localizzati nel sud, bassa valle dell’Omo. (…) Solo che nell’Omo i giornalisti non ci possono andare”. In realtà, ad Addis Abeba c’era il visto sul passaporto, l’accordo del governo federale, gli sforzi dell’ambasciata e della cooperazione italiana, anche l’intervento di un ministro. Poi è arrivato il via libera fino ad Arba Minch (nella Regione delle nazioni, nazionalità e popoli del sud – SNNPR) dove si trova il progetto Warka Water della cooperazione italiana; quindi il permesso di continuare il viaggio fino a Konso (sul fiume Sagan). Infine: impossibile proseguire per Omorate, all’ingresso della valle dell’Omo.

Stop non solo per i giornalisti, ma anche per i cineasti. Così è stato annullato il progetto di Lucio Rosa (Studio Film TV), regista impegnato da oltre quarantacinque anni nella realizzazione di reportages, programmi televisivi e documentari. Questo “regista veneziano, bolzanino d’adozione, (scrive Graziano Tavan, giornalista de "Il Gazzettino di Venezia") aveva deciso di lasciare per un momento le “pietre” e i successi ottenuti con i suoi film di carattere archeologico e di tornare a raccontare l’Uomo, o meglio la cultura originaria di alcuni gruppi tribali in Africa, non ancora contaminati completamente dagli uomini occidentali. Il nuovo progetto prevedeva la realizzazione di cinque film in Africa, ma l’avvio non è stato bene augurante: il primo, infatti, è stato annullato. Lontano, lungo il fiume – l’anima originaria delle tribù dell’Omo, già sceneggiato e per il quale le riprese dovevano essere realizzate in Etiopia tra agosto e settembre 2015, è rimasto lettera morta”.

 

 Lucio Rosa in Etiopia durante la preparazione del film sulle tribù dell’Omo

 

Il motivo? ” Purtroppo ho dovuto rinunciare, ha dichiarato amareggiato il regista, per i folli prezzi che le autorità chiedono per rilasciare i permessi per le riprese dei gruppi tribali, trentamila dollari. Una follia per un film maker indipendente quale io sono (…) Questo film poteva rappresentare un’ultima testimonianza della cultura originaria di questi gruppi tribali come i Karo, Mursi, Hamer, Dassenach”, e continuare il lavoro etnografico di Lucio Rosa iniziato trent’anni fa, insieme alla moglie Anna, con documentari come Babinga, piccoli uomini della foresta (pigmei del nord della Repubblica Popolare del Congo), e Pokot, un popolo della savana in Kenia.

“In realtà, scrive Tavan, un modo come un altro per tenere occhi indiscreti lontano dai progetti perseguiti nell’area che evidentemente non hanno come obiettivo la conservazione di una delle culle dell’umanità, e il prosieguo delle ricerche antropologiche e paleontologiche nella valle dell’Omo”.     

 

Il fiume Omo Bottego (dal nome dell’esploratore Vittorio che lo scoprì nel 1896, e vi lasciò la vita), nasce nell'altopiano etiopico e, passando, dai circa 2500 metri di altezza delle sorgenti ai 500 metri di altezza del lago, dopo 760 km di corsa impetuosa e poi di placidi meandri, sfocia con un delta nel lago Turkana (ex Rodolfo). L'Omo, serpeggiando nei vasti territori pianeggianti dell’Etiopia sud-occidentale, riceve numerosi affluenti (Gogeb, Wabi, Mago, Neri) ed attraversa i parchi nazionali di Mago e Omo, ricchi di fauna. Il territorio fa parte del Grande Rift dell’Africa orientale, un sistema di fosse tettoniche legate all’allontanamento di placche litosferiche. Un movimento divergente che, accompagnato da diffusi fenomeni vulcanici e sismici, provoca da oltre venti milioni di anni lo sprofondamento della crosta terrestre rispetto ai circostanti altipiani, e l’innalzamento delle montagne più alte dell’Africa, inclusi i monti Virunga, Mituba e Ruwenzori. 

 

 http://www.vialattea.net/spaw/image/geologia/RiftValley/01Terra_rift.jpg La Rift Valley africana ripresa dallo spazio. In tempi geologici sarà il fondo di un mare (http://www.vialattea.net)

 

Questo fondovalle, largo tra 30 e 100 metri, anticipa la formazione di un bacino oceanico africano, allontanando in futuro il Corno d’Africa dal grande continente. La Rift Valley, lunga almeno seimila chilometri, inizia nel nord della Siria, ospita il lago di Tiberiade, la valle del Giordano, la conca del Mar Morto, il golfo di Aqaba, poi prosegue con il Mar Rosso, la depressione di Afar (la Dancalia) e attraversa l'Africa orientale fino al lago Niassa (o Malawi) e al Mozambico, nella regione dei grandi laghi africani, che includono tra i più profondi laghi del mondo come il Tanganica, profondo fino a 1.470 metri. I ritrovamenti paleo-antropologici sono appunto legati all’attività vulcanica e tettonica responsabile della formazione di queste profonde depressioni e alla contemporanea sedimentazione legata all’intensa erosione dei rilievi, ma anche ai clasti e alle ceneri vulcaniche che hanno coperto rapidamente i resti animali e vegetali, permettendo così la fossilizzazione.

 

 La realtà nella bassa valle dell’Omo sta cambiando velo­cemente a scapito dei deboli della Terra, come sono i popoli che qui vivono, scrive Lucio Rosa su Archeologia viva. Un villaggio dei Karo che ho visitato recentemente, e che otto mesi prima era un villaggio vivo, posto al di sopra di un’ansa dell’Omo, praticamente non esiste quasi più, a parte qualche persona che si “imbelletta il volto” per accontentare qualche turista. È dal 2011 che il governo etiope dà in concessio­ne a imprenditori stranieri enormi appezzamenti di terra fertile sottraendoli ai gruppi tri­bali e distruggendo i loro pasco­li. Chi si oppone e fa resistenza subisce pestaggi e anche il carce­re. Per l’Africa è una storia vec­chia che si ripete. Sono aziende turche, malesi, finlandesi, olan­desi, italiane, coreane, di mezzo mondo, specializzate nella col­tivazione della canna da zuc­chero, cotone, palma da olio, mais per biocarburanti, che si sono accaparrate questi vasti territori. Si deforesta per fare spazio al grande progetto statale “Kuraz Sugar Project”, che sot­trarrà un’area di 245.000 ettari ai territori dove vivono i gruppi tribali. Lungo le sponde del mi­tico Omo i bulldozer continua­no a spianare terreni sterminati per le piantagioni che saranno irrigate con l’acqua del fiume. E conclude: E con l’estinzione dei gruppi tribali finirà anche il turismo culturale. Sono circa duecentomila gli indigeni che vivono qui. La loro esistenza è gravemente minacciata. La loro fine sarà un po’ anche la nostra”.

 

 Foto Lucio Rosa 

 

In effetti, negli ultimi decenni il fiume Omo ha cominciato a divenire oggetto di uno sfruttamento idroelettrico: sono state costruite le tre dighe Gilgel Gibe I, II e III e sono in via di pianificazione le due Gilgel Gibe IV e V. Il presidente Matteo Renzi è stato persino fotografato in visita all’enorme diga Gilgel III (ormai quasi completa: alta 240 metri, lunga 610) con i dipendenti della Salini, impresa che ha iniziato a costruire l’opera nel 2006.  Le immagini satellitari mostrano che il governo ha iniziato a riempire il bacino della diga; fornirà l’acqua a vaste piantagioni commerciali che si trovano nelle terre ancestrali delle tribù, e la produzione di energia elettrica aumenterà notevolmente. Ma l’impatto ambientale e umano sarà catastrofico. Il fragile ecosistema e i mezzi di sussistenza degli autoctoni, strettamente legati al fiume e alle sue esondazioni annuali, verranno distrutti. Clima e vegetazione cambieranno con l’intero bacino idrografico. I piccoli coltivatori, apicoltori, raccoglitori, cacciatori perderanno, oltre ad uno stile di vita millenario, l’autosufficienza alimentare. I pastori, privati di pascoli e foreste, dovranno abbandonare mandrie e greggi, e i nomadi saranno costretti a sedentarizzarsi.

I fieri abitanti dell’Omo diventeranno i salariati delle grandi multinazionali per coltivare canna da zucchero, olio di palma e cotone per l’esportazione?

 Mila C.G.  (le foto di Lucio Rosa sono state gentilmente concesse dall’Autore) 

 Omo Basin Area map.jpg

 Area del fiume Omo con evidenziate le tre dighe Gilgel I, II, III e la IV in programma. In piccolo, l’intera area dall’Eritrea al Kenya (rappresentazione non in scala)  voices.nationalgeographic.com

 

 

 

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                      In un’area grande più dell’Austria vive il popolo dei Nuba, circa un milione di abitanti, senza pace.
Al "Martedì del mondo" del 3 maggio (organizzato dalla rivista Nigrizia) si è parlato della guerra che si sta combattendo da anni nella regione dei Monti Nuba, nello stato sudanese del Sud Kordofan. La serata, moderata da Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia, è iniziata con la proiezione di un documentario A scuola sotto le bombe (20’), realizzato lo scorso dicembre nei Monti Nuba da Francesco Cavalli, vicepresidente dell’organizzazione non profit Amani, e da Matteo Osanna, video maker. I due testimoni hanno spiegato la situazione che hanno trovato sul terreno e perché. Infatti, nonostante tutto, la popolazione nuba (musulmani e cristiani) è decisa a mantenere efficiente il proprio sistema scolastico. Come ha affermato in una recente intervista pubblicata su Nigrizia il vice-governatore dei Monti Nuba, Suleiman Jabuna Mohamed, per i Nuba l’educazione è il modo per affermare il diritto alla salvaguardia della propria diversità culturale e sociale, mentre "il governo di Khartoum usa l’islam come strumento di potere per dominare l’insieme dei popoli sudanesi", attuando una politica di emarginazione, sfruttamento e persecuzione etnica e bombardando con i caccia Mig e Antonov.
A contrapporsi alla truppe governative sono le milizie dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan/Nord (Spla-N).
 
Il conflitto nel Sud Kordofan è iniziato nel 1983, quando le popolazioni si schierarono con il movimento di liberazione Spla che si batteva per l’indipendenza da Khartoum. Nel 2005 si è arrivati a un accordo di pace che prevedeva il referendum di autodeterminazione degli stati del sud del paese, e nel luglio del 2011 è nato un nuovo stato: il Sud Sudan. Ma la posizione di tre regioni di confine con il Nord del Sudan – Sud Kordofan, Nilo Azzurro e Abyei – non è stata chiarita, e i tre stati che si erano battuti contro il regime sono rimasti sotto la sovranità di Khartoum. Di qui la ripresa delle ostilità.
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I Martedì del mondo sono un ciclo di incontri (ottobre-giugno), che si tengono di norma il primo martedì di ogni mese, organizzati da Fondazione Nigrizia, dal Centro missionario diocesano, dalla rivista Combonifem e dal Cestim - Centro studi immigrazione.

 (Fonte: Missionari Comboniani - Vicolo Pozzo 1 - 37129 - Verona - Italia www.fondazionenigrizia.itwww.nigrizia.it )

 

Valle Dell’Omo 2°

La valle inferiore del fiume Omo è una regione dalla bellezza misteriosa, con ecosistemi estremamente differenti: rilievi vulcanici, valli e  corsi d’acqua, paludi, praterie e una delle rare foreste vergini primarie dell’Africa semi-arida che danno vita ad una importante biodiversità.  Flora, fauna e gruppi etnici diversi di grande interesse antropologico, intimamente legati alla natura, e solo parzialmente "contattati”. La vita di queste popolazioni è scandita dalle piogge, dalle alluvioni del fiume, dalla transumanza per sfuggire alle punture della mosca tzè-tzè, dalla semina e dal raccolto, dai riti legati alle varie fasi della vita, dai conflitti. Le nuove divisioni amministrative contano nella regione dell'Omo ben 45 gruppi di popoli. Ci sono differenze notevoli, ma anche somiglianze legate a incroci e matrimoni, scambi e commerci, mescolanze e contaminazioni, alleanze e rivalità.

 

 . Lucio Rosa nella Valle dell'Omo, presso l'etnia Hamer

 

 “È un’Africa profonda, quel­la della bassa valle dell’O­mo, scrive su Archeologia Viva, la rivista di Piero Pruneti, il regista Lucio Rosa (che voleva girare il film Lontano, lungo il fiume – l’anima originaria delle tribù dell’Omo, già

sceneggiato). Qui esistono ancora dei luoghi che conservano, in una dimensione senza tempo, un incredibile mosaico di razze ed etnie, vive tracce di antiche tradizioni, una commistione tra le radici dell’uomo e la na­tura. Per avvicinarsi a

questo mondo, cercare di comprende­re l’anima originaria delle tribù che ci vivono, dobbiamo ab­bandonare le nostre certezze e ogni pregiudizio occidentale. Allora potremo cogliere la ric­chezza di un mondo da noi co­sì distante e conoscere

l’Africa autentica, l’anima originaria di genti “lontane”. Nel nostro im­maginario spesso ci avvicinia­mo a questi popoli pensando fondamentalmente che siano dei primitivi, “selvaggi” – come si diceva una volta e come ora non si dice più per

pudore ver­so noi stessi – a cui dovremmo insegnare come si vivere sul pianeta … Nel contesto del XXI secolo, dove il nostro apparato economico sta distruggendo interi ecosistemi a un ritmo mai visto, da queste popolazio­ni di pastori

nomadi come i Ka­ro, i Mursi, gli Hamer, i Daasa­nach, che ancora vivono un’e­sistenza non ancora del tutto contaminata dall’uomo occi­dentale, avremmo molto da imparare, soprattutto dalla lo­ro profonda umanità. Diciamolo chiaro: stiamo

per­correndo velocemente le strade che porteranno alla distruzio­ne delle culture di quella che fu la culla dell’umanità.“

 

In effetti, nei giacimenti paleontologici della valle, testimoni del Pliocene e del Pleistocene, sono stati scoperti scheletri di Australopithecus, i crani di Homo sapiens Omo1 e Omo2, ossa di Paranthropus aetiopicus o Australopithecus robustus, un ominide estinto vissuto fra i 2,3 e gli 1,2 milioni di anni fa.

Ma questa valle non è solo la culla genetica dell’Uomo, ma anche quella culturale, che ci riporta alle origini della società e della civiltà. Cacciatori, raccoglitori, guerrieri, pescatori, pastori, apicoltori, agricoltori, artigiani: sono molti i popoli che vivono lungo l’ Omo o nelle regioni adiacenti, quando il fiume, dopo un cammino accidentato attraverso l’altopiano etiopico, forma ampi meandri in un paesaggio pianeggiante. Il suo corso è stato esplorato in due missioni, dal 1887 al 1997, dal luogotenente d’artiglieria Vittorio  Bottego; le spedizioni erano finanziate dal governo italiano, che, già installato in Eritrea, cercava un ruolo coloniale in Africa come le altre nazioni europee. Bottego ha incontrato, non sempre in modo pacifico, molte di queste etnie.

Le popolazioni dell’Omo hanno sviluppato da secoli pratiche socio-economiche complesse in funzione delle condizioni ambientali difficili di questa regione semiarida. Oltre alla coltivazione pluviale itinerante, la piena annuale del fiume garantisce un’agricoltura legata alle periodiche inondazioni seguite dal ritiro delle acque. Si produce sorgho, mais, fagioli, patate, banane, caffè e cotone. Dal bestiame (zebù, vacche, ovini, oche …) si ricava carne, latte, sangue, cuoio. Costituisce un capitale di riserva in caso di carestia per la siccità, e viene usato per pagare la dote della sposa. Alcune  tribù (Bodi, che cantano poemi per far prosperare le mandrie, Daasanach, Karo, Mursi, Kwegu, Nyangatom) vivono lungo le rive dell’Omo e ne dipendono completamente. I villaggi di Hamar,  Chai,  Turkana sono più lontani, ma una rete di alleanze interetniche consente loro l’accesso alle pianure inondate, soprattutto in  assenza di precipitazioni. Eppure tra queste tribù scoppiano spesso conflitti, che l’introduzione delle armi da fuoco ha reso più pericolosi. Negli anni settanta anche sulle rive dell'Omo sono apparsi i Kalashnikov, insanguinando gli scontri frequenti anche a causa della competizione per le risorse sempre più rare. Infatti i nativi da anni subiscono la perdita progressiva delle loro terre. Prima la creazione dei due parchi nazionali negli anni 1960 e 1970. Poi negli anni 1980 una parte del territorio è stata trasformata in azienda statale irrigata. In seguito una parte importante delle terre ancestrali è stata concessa a multinazionali o trasformata per la produzione di agro-carburanti. Infine, con  la costruzione delle dighe sul fiume Omo  (Gilgel Gibe I, II, III) e di altre due in programma, i popoli dell’Omo diventeranno profughi ambientali. 

L’abbassamento del livello del lago Turkana (20 metri in un secolo, con un rialzo di 4-5 metri negli anni sessanta), ha già costretto a migrare i Galeb, riconoscibili per i capelli impastati di cenere e ocra e adornati con belle piume di struzzo. La siccità ha spinto i Mursi, dentro i confini del Mago Park (parco naturale), innescando inevitabili scontri con i Bodi e con i Karo. I Karo e i Mursi hanno i volti e il corpo affrescati con ocra, calce bianca, polvere di ferro e brace di carbone e di legno, o altri minerali colorati (giallo, rosso, blu); si scarificano la pelle e si provocano rigonfiamenti con acqua e cenere. I Mursi si adornano con piume e ossa, e le giovani donne inseriscono un piattino di legno o di argilla nel labbro inferiore  ai lobi dell’orecchio; dopo aver fatto una piccola incisione, sostituiscono dischi di grandezza crescente per espandere il labbro. Si crede che un tempo servisse a scoraggiare il rapimento delle donne da parte degli schiavisti. Gli Hamer vivono nelle savane a occidente del lago Chew Bahir, il lago del sale, in una zona selvaggia circondata da paludi e aride savane. Le loro danze rituali sono sensuali: celebrano i matrimoni, il raccolto, le iniziazioni dei giovani. Le donne Surma invece portano degli anelli ai lobi delle orecchie e sulle labbra prima di sposarsi. Borana sono pastori seminomadi di buoi, vacche e zebù, e si considerano l’etnia primigenia del gruppo Oromo. Sono orgogliosi e bellicosi; l’assassino borana si fa crescere un lungo e solitario ciuffo di cappelli, e chi non ha ucciso nessuno non è degno di sposarsi. Si spostano, con le mandrie e le capanne di canne,  tra le terre dei Konso e il bacino del fiume Giuba, verso il Kenia.. I Konso vivono fra le colline a sud del lago Chamo. Popolo di agricoltori sedentari di origine cuscitica (substrato etnico più antico dell'Etiopia e delle regioni nordorientali del Sudan), sono bravi musicisti, coltivano con grande cura e abilità i prodotti  locali che vendono o scambiano in grandi mercati, punto d’incontro con popoli di pastori. Nei loro campi terrazzati si innalzano piccoli totem, i Waga, legati al culto degli antenati di cui raffigurano la vita, la storia, il passato.

Ogni etnia ha le sue peculiarità, ma dappertutto si pratica la religione animista, la poligamia, il potere assoluto dei maschi, le scarificazioni corporali, la nudità, o al massimo un telo intorno ai fianchi. E la comunicazione avviene principalmente attraverso i corpi: abbelliti, incisi, cicatrizzati, adornati con oggetti diversissimi, dipinti e colorati, acconciati con pettinature fantasiose, ciuffi su cranio rasato, trecce,  riccioli. Servono a comunicare, a identificare il clan o gruppo, a esprimere personalità e sentimenti: fiducia, seduzione o paura, affetto, coraggio, aggressività, senza la mediazione della parola. (Mila C.G.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

News

  • Ricordando Lidia Cicerale

    Lidia Cicerale (prima a sinistra, insieme ad Attilio Gaudio) nel 2000, in una delle biblioteche del deserto della Mauritania (foto Sam Selmou)

    Il Centro Studi Archeologia African (CSAA - www.csaamilano.it ) ha ricordato con una giornata speciale "l'avventura umana e scientifica" di una persona che per trent'anni è stata l'anima e la mecenate di questo centro milanese, sito presso il Museo civico di Storia Naturale di Milano. Erano presenti in molti: gli innamorati dell'Africa e dell'archeologia, la famiglia commossa, e soprattutto i collaboratori, i co-fondatori del Centro, e gli studiosi che via via si sono inseriti ed hanno partecipato alle numerose missioni sul terreno, ricerche, congressi, seminari. "Sarà il nostro modo, hanno scritto gli organizzatori,  per ricordare Lidia Cicerale e per presentare una serie di nuovi contributi alla storia dell’Africa e, più in generale, alla conoscenza della vicenda umana."

    Hanno preso la parola Giulio Calegari e Giorgio Terruzzi, rievocando gli inizi e l'entusiasmo e la disponibilità di Lidia, e insieme a lei gli oltre 30 anni di vita del Centro Studi Archeologia Africana. Poi Gigi Pezzoli, attuale presidente del CSAA, ha presentato "Pierre Reinhard: un ricercatore francescano nel Nord Togo". Altri interventi hanno illustrato esplorazioni e ritrovamenti recenti nel Deserto Libico (Maria Emilia Peroschi e Flavio Cambieri) - il Gran Mare di Sabbia, GSS, e l'origine delle società moderne (Lorenzo De Cola) - il poggiatesta, confronto tra l'etnografia africana e l'antico Egitto (Franco Di Donato) - vita con una famiglia tuareg nell'oasi di Djanet, Algeria (Giovanna Soldini). E poi: Gilberto Modonesi: percezione del mondo nilotico da parte dei Romani - Itala Vivan: musei delle migrazioni, alle porte d'Europa (partendo dalla Porta d'Europa di Mimmo Paladino a Lampedusa) - Barbara Barich: il potere dell'immagine nella preistoria del Sahara. Infine Christian Dupuy (dell'Institut des Mondes africains) ha interpretato arti e società dell'Africa settentrionale in maniera molto interessante , parlando di una "médiation horizontale" (con la vita quotidiana, la sopravvivenza, tutto ciò che circonda l'uomo al suo livello) e la "médiation verticale", lo spazio virtuale del soprannaturale, del magico, del mistero.

    E per concludere, Giulio Calegari, "armato" di uno strumento musicale (comprato da Lidia) che non ha potuto suonare per mancanza di corde, ha lanciato "sguardi spontanei e voli pindarici sull'arte rupestre", e proiettato immagini di graffiti rupestri eritrei, in cui compare lo stesso strumento.

     

     

     

     

  • Niger, rapimento di un missionario

    A due mesi dal sequestro di padre Maccalli non c'è nessuna notizia certa su dove si trova, se è vivo e sui passi intrapresi per liberarlo. Un altro appello è stato lanciato dalla SMA (Società delle Missioni Africane, Genova, www.missioniafricane.it) a tutti coloro che hanno a cuore l'opera dei missionari>:

        "Un nostro missionario, padre Pier Luigi Maccalli, (originario della diocesi di Crema, già missionario in Costa d'Avorio) da più di un mese è nelle mani di ignoti rapitori, i quali non si sono fatti ancora vivi. Il rapimento è avvenuto nella sua missione di Bomoanga, nel sud-ovest del Niger, a pochi chilometri dalla frontiera con il Burkina Faso. Padre Gigi, come qui tutti lo chiamano affettuosamente, in undici anni ha fatto molto per la popolazione: scavo di pozzi, costruzione di scuole e ambulatori medici, formazione per i giovani contadini, istruzione degli adulti" mettendo insieme, come riferisce l'Agenzia Fides, "evangelizzazione e promozione umana; attento all'inculturazione, ha organizzato momenti di iniziazione in relazione con la circoncisione e l'escissione femminile. Può essere uno dei moventi per il rapimento, giunto una settimana dopo il suo rientro da un tempo di riposo in Italia». Infatti, attento alle problematiche legate alle culture locali, aveva organizzato incontri per affrontare temi sociali e contrastare pratiche legate alle tradizioni, come le mutilazioni genitali.

    La Missione cattolica dei Padri SMA si trova in zona Gourmancé (Sud-Ovest) alla frontiera con il Burkina Faso, nella prefettura di Makalondi, e a circa 125 chilometri dalla capitale Niamey. La Missione è presente dagli anni '90, e i villaggi visitati dai missionari sono più di venti, di cui dodici con piccole comunità cristiane, distanti dalla missione anche oltre 60 chilometri. "Da qualche mese la zona si trova in stato di urgenza - spiega padre Mauro Armanino, missionario SMA a Niamey - a causa della presenza di terroristi provenienti da Mali e Burkina Faso».  Testimoni riferiscono che uomini armati in moto hanno fatto irruzione nella missione, "lo hanno preso e portato via; il confratello indiano che vive con lui è riuscito a mettersi in salvo". E' plausibile che presunti jihadisti siano attivi nella zona, dove la povertà è strutturale, i problemi di salute e igiene enormi, l’analfabetismo diffuso e la carenza di acqua e di strutture scolastiche ingenti. La mancanza di strade e di altre vie di comunicazione, anche telefoniche, rendono la zona isolata e dimenticata.

    Dopo il rapimento – riferiscono dalla Curia della SMA – padre Maccalli è stato probabilmente portato al di là della frontiera. Nella confinante regione del Burkina Faso c’è, infatti, una vasta foresta in cui hanno le proprie basi i miliziani jihadisti. Attualmente la diocesi di Niamey ha inviato un gruppo di sacerdoti nel villaggio di padre Maccalli per verificare i fatti e per prendere contatti con la comunità locale. Un altro religioso italiano di una parrocchia vicina è stato fatto allontanare e ora è al sicuro a Niamey”.

    Poema per p. Gigi,
    di p. Paco Bautista, missionario SMA spagnolo

    Algún día, en alguna parte,
    todo será de otra manera.
    Mientras tanto
    bregamos con nuestras heridas,
    convivimos los miedos,
    los fracasos,
    gestionamos nuestros fantasmas
    en estos tiempos de crisis…

    Pero también
    sacamos lo mejor de nosotros
    porque creemos,
    contra toda evidencia,
    en la bondad innata
    de lo más sagrado
    que cada uno lleva dentro.

    Y apostamos por un mundo
    sin fronteras ni exclusiones,
    donde la verdad
    es el punto de salida
    para hacer nuevas todas las cosas.

    Porque algún día,
    en alguna parte,
    todo será de otra manera.

    Fraterno siempre

     

     
  • L'Africa nel cuore di Lucio Rosa (28.10/27.11.2016)

      In ventisei scatti selezionati, il regista, fotografo e produttore veneziano Lucio Rosa ha immortalato alcuni gruppi etnici di Congo, Kenia, Etiopia, sempre meno numerosi e probabilmente in pericolo di estinzione.

    Sono i Dassenech, i Pokot, gli Hamer, i Babinga che popolano la mostra fotografica "Con l'Africa nel cuore" che, inaugurata il 28 ottobre 2016 a Licodia Eubea (Catania), si potrà ancora visitare sabato 26 e domenica 27 novembre dalle 17 alle 21. L'evento è contestuale all'apertura della VI edizione della Rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica di Licodia Eubea (Sicilia) (vedi https://archeologiavocidalpassato). Nella foto, il regista con il direttore artistico.

    La Rassegna si chiuderà con un bilancio positivo, dichiarano i direttori artistici Lorenzo Daniele e Alessandra Cilio, mentre è già stato consegnato al toscano Piero Pruneti, direttore di Archeologia Viva, il premio "Antonino Di Vita". Questo archeologo siciliano di fama internazionale, scomparso nel 2011, ha sempre visto in Licodia Eubea il suo "luogo dell'anima".

    Invece il luogo dell'anima di Lucio Rosa è sempre l'Africa, soprattutto da quando, negli anni '80 vi realizza reportage cinematografici e fotografici su incarico delle Agenzie delle Nazioni Unite. Così, le etnie rappresentate in questa mostra rivivono per i nostri occhi e cuore, grazie alle immagini di Lucio, il loro speciale, millenario, prezioso rapporto simbiotico con l' ambiente da cui sono nate e in cui cercano ancora di sopravvivere, malgrado (o forse con) il turismo e le "ruspe" del progresso. (M.C.G.)

  • Homo naledi e Cheikh Anta Diop: due interrogativi

    Settembre 2015 - La scienza non è dogmatica, ogni ipotesi deve essere considerata “vera” fino a quando non si dimostra il contrario. Così, mentre ci si interroga ancora sul colore della pelle dei Faraoni e dei loro sudditi (erano neri?), una nuova specie del genere Homo, con caratteristiche primitive e moderne insieme, è stata scoperta in Sudafrica. Un ritrovamento che potrebbe far riscrivere la storia dell'evoluzione della nostra specie?

  • Scoperto un altro tempio solare in Egitto

    Sarebbero state trovate in Egitto le tracce di uno degli antichi templi solari costruiti dai faraoni; sarebbe il terzo dei sei di cui si ha notizia. Dedicati al dio Ra e al culto del sole al tramonto, questa tipologia di templi solari compare durante la V dinastia; venivano eretti dai faraoni per assicurarsi lo stato di dei durante la vita (mentre le piramidi garantivano loro l'eternità dopo la morte).  Ubicati ad ovest, da un accesso in penombra si giungeva, attraverso articolati passaggi al buio, ad un cortile sacro inondato dalla luce del sole; al centro, un obelisco e un altare per le offerte. Nei templi a cella invece si passava dalla luce solare al buio.

    Il primo tempio solare di cui abbiamo notizia è quello denominato Nekhen Ra (Fortezza di Ra) eretto 4500 anni fa da Userkaf, primo sovrano della dinastia, nel sito di Abu Ghorab. Si trova nel Basso Egitto, a sud-ovest del Cairo, sulla riva ovest del Nilo, dove inizia il deserto occidentale. 

    Il tempio solare meglio conservato è probabilmente quello di Nyuserra (Shesepu-ib-Ra, Delizia del cuore di Ra), quinto sovrano della dinastia, che regnò per un periodo di 24-35 anni nel 25° secolo a.C.. Fu scoperto dall'inglese Perring nel 1837 ma era già noto con il nome di "Piramide di Reegah”; fu poi studiato dall’ archeologo tedesco Ludwig Borchardt nel 1898. Si trova all’estremità settentrionale della necropoli di Abusir, campo sepolcrale dei faraoni della V dinastia (2465-2323 a.C.) e area centrale, per tutto il III millennio a.C., di quella che fu la più grande necropoli d’Egitto, presso Menfi, capitale durante l’Antico Regno (2575-2150 a.C.), e oggetto di nuovi studi una decina di anni fa.

    Ma per cinquant'anni non si sono verificate nuove scoperte di templi solari. Invece ora, scavando sotto i resti di questo tempio, gli archeologi hanno trovato,  dopo aver tolto la sabbia e i frammenti di pietra, la base di un pilastro di calcare bianco profondo 60 centimetri; poi una base più antica di mattoni e lastre di fango. Inoltre la scoperta di un nascondiglio segreto, con parecchie coppe da birra insabbiate nelle fondamenta (offerta rituale degli antichi Egizi nei luoghi più sacri) indicherebbe di essere in presenza proprio di un tempio solare, più antico e quindi sottostante al tempio di pietra.

    Il professor Massimiliano Nuzzolo (egittologo presso l'Accademia delle Scienze di Varsavia) afferma che si era già a conoscenza che c'era "qualcosa" sotto il tempio di pietra di Nyuserra; il fatto che si sia trovato un grande ingresso fa pensare ad un preesistente edificio, "forse un altro tempio solare, uno dei templi solari scomparsi..."

    Con la fine della V dinastia il tempio solare diventa meno importante. Ritorna poi con il Nuovo Regno, nella città di Amarna, con Akhenaton e il culto monoteistico di Aton, dio del sole e garante di vita. Il culto del sole aveva avuto origine già nel periodo predinastico, con i Shemsu-Hor, gli adoratori del dio sole, il "Signore dei due orizzonti".

     

  • Paleoantropologia, nuova scoperta in Israele

    Una vertebra umana preistorica, datata 1,5 milioni di anni,  è stata scoperta nel nord di Israele, nella valle del Giordano, a Ubeidiya, dagli archeologi della Università Bar-Ilan, diretti da  Alon Barash, insieme al Collegio Accademico Ono, l’Università di Tulsa e l’Autorità delle Antichità di Israele. Importante scoperta, che  dimostra l'esistenza di ondate migratorie diverse "out of Africa". Infatti é il secondo fossile arcaico di ominide trovato al di fuori dell’Africa; i più antichi risalgono a 1,8 milioni di anni fa e sono stati rinvenuti a Dmanisi, in Georgia.

    Vertebra, Ubeidiya (Israele)- foto a) superiore b) posteriore c) inferiore d)frontale (Dr. Alon Barash, Università Bar-Ilan)

    La storia di questo osso inizia nel 1959, quando un agricoltore del Kibbutz Afikim, lavorando un terreno in una zona che non era ancora riconosciuta preistorica, portò alla luce alla luce alcune ossa, inclusi un teschio e alcuni denti. Gli scavi iniziarono nel 1960, e nel 1966 l’archeologo Moshe Stekelis trovò questa vertebra, che fu messa in una scatola con la scritta "Homo?" e dimenticata. Dopo vent’anni, la paleoantropologa dell’Università di Tulsa, Miriam Belmaker, che stava lavorando sulla ricostruzione del paleoclima dell’Ubeidiya preistorica, rianalizzò tutti i fossili trovati nel sito. E, scoprendo quel pezzo di spina dorsale, capì subito che non era una scimmia: il reperto, non completamente ossificato, è molto più grande anche di quello degli erectus africani. Secondo gli scienziati, poteva trattarsi di un caso di ossificazione ritardata, e in tal caso il bambino, pur restando un soggetto molto “robusto”, avrebbe avuto un’età compresa tra 6 e 12 anni alla morte, un'altezza presunta di un metro e mezzo, e un peso di 45-60 chili!

    Tuttavia, da allora iniziò un incessante studio comparativo su tonnellate di vertebre di antichi ominidi, umani moderni, iene, rinoceronti, leoni, scimmie e altri animali sospetti. In conclusione, dopo aver fatto una comparazione delle tre vertebre presacrali inferiori (negli esseri umani moderni, nei Neanderthal, negli Australopitechi, e negli scimpanzé) e dopo aver escluso che si trattasse di un animale, gli scienziati hanno stabilito la giovane età dell’ominide in base alla parziale ossificazione. Il che fa però ipotizzare una possibile statura media in età adulta intorno ai 2 metri.

    E' stata studiata anche la cultura materiale dei due siti, georgiano e israeliano. Mentre a Ubeidiya i manufatti di pietra e silice, le accette di basalto, gli utensili da taglio sono associati alla cultura acheuleana avanzata (Paleolitico inferiore), gli utensili di pietra di Dmanisi appartengono alla cultura olduvaiana primitiva (Paleolitico inferiore arcaico), risalente a ondate di migrazioni di ominidi arcaici durante il Gelasiano, il periodo più antico del Pleistocene.

    Quindi le due diverse industrie sono state prodotte da due diverse specie umane arcaiche. E il bambino "gigante" della Valle del Giordano e l’Homo georgicus di Dmanisi non sarebbero della stessa specie. Il che significa che gli archeologi hanno scoperto una nuova specie, un anello mancante nell'evoluzione umana, e che le migrazioni in Africa avvennero in più ondate, in un lasso di tempo che le separa tra loro dai 200.000 ai 300.000 anni.?

    Per Alon Barash non c'è dubbio: "Data la differenza tra le dimensioni e la forma di questa vertebra e quelle riscontrate in Georgia riteniamo evidente e senza equivoci la presenza di due ondate migratorie distinte". Da un altro punto di vista, la paleoantropologa Miriam Belmaker (Università di Tulsa) afferma in sintesi: Una delle principali domande rispetto alla diffusione umana fuori dall’Africa sono le condizioni ecologiche. In teoria si discute se gli antichi ominidi, lasciando le foreste africane, avessero preferito un habitat di savana o di bosco umido. La scoperta di due specie diverse a Dmanisi e Ubeida, concorda con un clima diverso: più umido e compatibile con quello mediterraneo vicino al lago, e più secco e boscoso nel Caucaso. Inoltre le due specie hanno prodotto due tipi di utensili di pietra diversi.

    In conclusione l’antica migrazione umana dall’Africa verso l’Eurasia, di circa 1,8 milioni di anni fa (nel Caucaso, Repubblica di Georgia), non fu un evento unico, ma è stata seguita da una seconda, di approssimativamente 1,5 milioni di anni, in Israele a sud del lago di Tiberiade, il Mar di Galilea.

     (ECG)
  • Etiopia 2020: acqua e fuoco ( 1 )

    ETIOPIA (ed ASMARA) - Guerra contro il Tigray

    In questo anno 2020, segnato dalla pandemia per il Covid-19, si parla poco dell’ Etiopia. Eppure sono due i grandi fatti di attualità: la grande diga sul Nilo Azzurro e il conflitto nel nord del paese. Poi un più recente triste fatto di cronaca: il 12 gennaio 2021 il feretro di Agitu Gudeta è arrivato ad Addis Abeba, dove sarà sepolto per volere della famiglia, e riceverà i funerali di Stato. Una scritta accompagna l'immagine dell'imprenditrice massacrata in Trentino: "La tenacia instancabile". La donna, che aveva fondato l'azienda biologica "La capra felice", è stata uccisa da un suo collaboratore ghanese, sembra per uno stipendio non corrisposto.

      LaregionedelTigray  (fotoMGC§ )               

    Agidu aveva lasciato l'Etiopia dopo aver ricevuto minacce da parte del governo per la sua attività di contrasto al land grabbing, l’accaparramento dei terreni a favore delle multinazionali, un problema che affligge molti Paesi africani. Dopo gli studi all'università di Trento si era stabilita a Frassilongo nel 2010 e aveva fondato il suo allevamento di capre autoctone con produzione di formaggi nei terreni recuperati dall’abbandono nelle montagne trentine.      

    L'Etiopia - Circondata da: Sud Sudan a ovest, Eritrea a nord, Corno d’Africa con Somalia e Gibuti a est, Kenya a sud, L’Etiopia non ha sbocchi sul mare e si può grossolanamente dividere in tre grandi tre grandi regioni morfologiche: l’Acrocoro Etiopico propriamente detto, la Dancalia e l’Altopiano Galla-Somalo. Secondo paese africano per popolazione, i circa 103 milioni di abitanti sono divisi in  oltre ottanta etnie, diverse per lingua, storia, habitat e cultura. I gruppi etnici maggioritari sono Oromo, Afar, Galla, Amhara, Somali, Sidamo, Gurage, Weilata, Tigrini *(6% della popolazione etiopica). E’ la regione di questi ultimi,  il Tigray (nel nord, al confine con Eritrea e Sudan) ad essere teatro di un micidiale conflitto dal 4 novembre 2020. Amministrativamente l’Etiopia è uno stato federale suddiviso in dieci stati regionali semi-autonomi e due città autonome, Addis Abeba e Dire Daua.

                                                                               La regione del Tigray (Foto MCG §)

    Per capire bisogna ora fare un passo indietro. ll Tigray è una regione montagnosa con circa cinque milioni di abitanti (in prevalenza agricoltori e allevatori) di cui circa 500.000 popolano la capitale Makallé. Tigrino è Meles Zenawi, che è stato presidente di transizione dal 1991 al 1995 dell’Etiopia alla caduta del governo del Derg,** per poi diventare primo ministro. Sotto la sua presidenza venne istituito nel Paese, con la Costituzione del 1994, un federalismo su base etnica. Il progetto della grande diga sul Nilo Azzurro (auspicato da Hailé Selassié) era già stato approvato una decina di anni fa appunto con Meles Zenawi, leader del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigré (TPLF) e poi del Fronte Ethiopian People’s Revolutionary Democratic (EPRDF). Il partito di Zenawi (che morì a Bruxelles nel 2012 a soli 57 anni) dirige tuttora la regione del Tigray, ma è importante notare che ha controllato per circa trent’anni l’apparato politico e di sicurezza in Etiopia (rimanendo acerrimo nemico dell’Eritrea, con cui invece il governo attuale di Addis Abeba ha fatto recentemente pace). Invece il giovane primo ministro attuale Abiy Ahmed Alì (42 anni, di etnia Oromo) eletto nel 2018, ha messo fine a due decenni di guerra con Asmara, ed è stato capace di far coalizzare le componenti politiche dei due gruppi etnici più numerosi (Oromo e Amhara) in Etiopia, forse isolando i Tigrini.  

      

    In giugno 2020 erano già iniziati apertamente gli attriti con il governo centrale, quando il Parlamento  federale aveva rinviato le elezioni causa Coronavirus, estendendo di un altro anno il mandato al primo ministro. Così il governo del Tigray aveva indetto le sue elezioni parlamentari, vinte ovviamente dal TPLF.

    In risposta Abiy Ahmed (premio Nobel per la Pace 2019***)  accusa il TPLF di aver attaccato le truppe federali in una base settentrionale, e minaccia un’operazione militare contro la regione dissidente per sostituire le autorità tigrine con “istituzioni legittime". Alle parole: "siete sul punto di non ritorno, arrendetevi pacificamente: il vostro viaggio di distruzione è arrivato alla fine", il leader tigrino Debretsion Gebremichael risponde "siamo persone di principio, non arretreremo di un millimetro". Di qui il taglio dei collegamenti con il Tigray, che respinge l'ultimatum del premier (tempo 72 ore per arrendersi) e l'inizio delle ostilità. L'esercito federale quindi invade il Tigray accerchiandone la capitale. In risposta i Tigrini attaccano con missili e artiglieria obiettivi dell'esercito regolare, distruggono gli aeroporti nelle vicinanze, facendo arrivare missili persino sulla capitale eritrea, Asmara, da dove partivano i raid aerei etiopi. Doveva essere un'operazione lampo, ma il conflitto ha ormai provocato centinaia di morti e numerose migliaia di rifugiati nel vicino Sudan, allontanando la "fase finale" auspicata dal primo ministro.  Il numero dei profughi è andato diminuendo con il passare dei mesi (da 7.000 a meno di 500 al giorno), anche per un incremento della sorveglianza sulla linea di frontiera sudanese, ma un terzo è costituito da bambini e minori di 17 anni. A fine novembre il primo ministro avrebbe dichiarato la vittoria del governo, ma 6 milioni di persone sarebbero ancora bloccate nel Tigray. Nell'est del Sudan nell'ultimo mese sono stati trasferiti più di 20.000 Tigrini, dalle zone frontaliere, verso il campo di Um Rakuba, a circa 75 km dalla città di Gedaref, e si parla di costruire un nuovo campo per i rifugiati verso l'interno. Misteri e silenzi: è certo il pericolo di tumulti violenti e incertezze, rivalità etniche, genocidio.

       Tigrini (Foto MCG§)

    La Commissione Etiope per i Diritti Umani ha comunicato che questo 12 gennaio sono stati uccisi oltre 80 civili, bambini compresi, in un attacco nella regione di Benishangul-Gumuz, al confine con il Sudan. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (HCDH) ha chiesto ad AddisAbeba di poter accedere all'intera regione del Tigray e di proteggere i civili. Intanto è stato chiuso lo spazio aereo sudanese ai confini l'Etiopia per i voli civili. Un convoglio di aiuti internazionali e sette camion della Croce Rossa sono recentemente arrivati a Makallé con medicinali e materiale medico... le notizie, come gli aiuti, sono insufficienti. Lo riporta Esat Tv, canale satellitare dell'opposizione citato dalla Bbc, specificando che numerosi attacchi sono stati lanciati nelle giornate di lunedì e martedì (12 e 13 gennaio). Il rapporto cita ancora "fonti attendibili" che confermano l'uccisione di 130 civili da parte di uomini armati in vari distretti nella zona di Metekel lunedì. "I banditi armati prendevano di mira solo le case dei cittadini di etnia Amhara e Agew, e ne hanno uccisi molti, comprese donne e bambini; gli abitanti dell'area raccoglievano i corpi", hanno detto all'Esat Tv. Durante l'attacco al distretto di Dibate, afferma la stessa fonte locale , "il numero dei morti potrebbe ancora aumentare".

      Nel Cimitero Italiano di Adigrat sono sepolti circa 765 italiani, soldati e civili. (Foto MCG§).  Sono qui riuniti i caduti provenienti dai cimiteri di Adigrat - Acab Saat - Dembenguirà - Abi Abuna - Amba Alagi - Axum - Ugurò - Selaclalà - Enticciò - Biet Mora.

    A  circa 1.000 km a nord di Addis Abeba, nella Regione del Tigray, si trova Adigrat, ultima importante città prima del confine con l’Eritrea. Circondata dalle alte Ambe, Adigrat si trova in una fertile conca, sulla principale rotta commerciale e strategica verso il Mar Rosso. Punto strategico di base e di rifornimenti nella campagna italo-etiopica del 1895-96 (con la conquista dell'Eritrea), e successivamente nella guerra per iniziare conquista dell'Etiopia (1935-36), sulla linea Adua-Adigrat verso sud.

    *I Tigrini , come gli altri popoli degli altipiani, sono un popolo forte. Questo gruppo etnolinguistico vive in gran parte negli altopiani eritrei e nella regione settenrionale del Tigray in Etiopia. Parlano la lingua Tigrinya, che appartiene alla famiglia afroasiatica. La loro religione è il cristianesimo ortodosso, in particolare sono seguaci della chiesa ortodossa etiopica di Tewahedo. Le loro coltivazioni sono in prevalenza il  cereale teff, granoturco, orzo, piselli, lenticchie, cipolle e patate. Come pastori prediligono pecore e capre da cui ricavano pelli e lane per oggetti, coperte e indumenti. Le tipiche case tigrine sono di pietra a pianta quadrata, altre sono tonde col tetto piatto fatto di terra; il focolare è ricavato da una buca nel pavimento, mentre il fumo infilandosi in una brocca rotta come comignolo esce dal tetto. Ma, dato che la legna da ardere è scarsa, i contadini, invece di concimare il terreno, utilizzano il letame per fare il fuoco in cucina. Sui ripidi pendii utilizzano un sistema di irrigazione a terrazzamento. Anticamente c'erano numerose grandi comunità urbane nella regione del Tigray, che fiorirono e crearono molta arte cristiana durante il Medioevo.

    ** Il Derg ("comitato" in lingua amharica) o Governo Militare provvisorio dell'Etiopia Socialista, governò con una feroce dittatura l'Etiopia e l'attuale Eritrea dal 1974 al 1987, ma ne mantenne il controllo fino al 1991. Il suo presidente dal 1977 era Menghistu Hailé Mariam, detto il Negus rosso. Questo Comitato di coordinamento di forze armate, polizia e forze territoriali, aveva detronizzato Selassié nel 1977 e avviato una rivoluzione progressivamente marxista (dopo una lotta tra moderati e radicali) con Menghistu. Hailé Selassié è stato dunque l'ultimo imperatore d' Etiopia dal 1930 al 1974 (a parte l'esilio in Inghilterra durante l'occupazione italiana); imprigionato nel palazzo imperiale, venne assassinato per ordine dello stesso Menghistu. Dopo la guerra, l'Eritrea era stata federata inizialmente all'Impero d'Etiopia dalle Nazioni Unite, mantenendo la propria autonomia. Ma il governo di Addid Abeba smantellò lo stato federale nel 1960, per annettere semplicemente l'Eritrea nel 1962. Soltanto nel 1991 il Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo scacciò l'esercito etiope fuori dei confini eritrei, e supportò il TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè), movimento etiope di resistenza, per rovesciare la dittatura di Menghistu, che cadde nello stesso anno. Ma nel 1998 l'Etiopia, per un problema di confini, aveva iniziato una guerra con l'Eritrea (da cui si era separata consensualmente nel 1993, con l'indipendenza dell'Eritrea dopo una guerra durata trent'anni). Sia dopo il Negus Rosso che dopo la morte di Zenawi il paese si trovò in condizioni durissime anche per siccità, povertà, tumulti, proteste, repressioni, brogli elettorali, la guerra con l'Eritrea ... Il suo vice Haile Mariam Desalegn si dimette inizio 2018, lasciando il paese vicino ad una guerra civile. Le elezioni portano al governo Abiy Ahmed Alì di etnia Oromo, che fa pace con l'Eritrea chiamandola "amica".

     *** "La guerre est l’incarnation de l’enfer pour tous ceux qui y participent. Je suis passé par là et j’en suis revenu." Le 10 décembre 2019, à Oslo, Abiy Ahmed entame son discours de lauréat du prix Nobel de la Paix par le récit – poignant – de son expérience d’opérateur radio sur le front de Badme, pendant la guerre entre l’Éthiopie et l’Érythrée, en 1998. « Il y a ceux qui n’ont jamais vu la guerre, mais qui la glorifient. Ils n’ont pas vu la peur, la fatigue et la destruction, poursuit-il devant l’auditoire. Ils n’ont pas non plus ressenti le triste vide de la guerre après le carnage".

     § Mila Crespi Gaudio

     

  • Arti talismaniche a Milano

    Faccio seguito alla notizia pubblicata in Eventi  il 14 maggio 2021 (Arti talismaniche ... dal nord della Nigeria) a cura di Andrea Brigaglia* e Gigi Pezzoli*). Questa interessante mostra è ora allestita a Milano e resterà aperta fino al 22 gennaio 2022 (corso Buenos Aires 2, domenica e lunedì chiuso, altri giorni ore 10-12 e 15-17 - verificare orari apertura).

    Infatti così scrive Gigi Pezzoli: Cari Amici, diversi di voi ci hanno chiesto di poter vedere a Milano la mostra sulle arti talismaniche del Nord della Nigeria già presentata a Napoli nella scorsa primavera. Ci siamo riusciti. La mostra sarà inaugurata il 27 ottobre 2021, alle ore 18:00, presso la Galleria Lorenzelli Arte di Corso Buenos Aires 2, a Milano. Il titolo é invariato: Nel Nome di Dio Omnipotente - Arti talismaniche, pratiche di scrittura sacra e protettiva dal nord della Nigeria

                       

    Così Lorenzelli Arte continua la sua periodica programmazione di iniziative collaterali allo scopo di approfondire tematiche e ricerche sull’arte contemporanea, nella diffusione e confronto tra culture. Le sale espositive ospitano nel cuore di Milano una ricca serie di 80 opere inedite, appartenenti agli Hausa, un gruppo etnico di oltre 70 milioni di individui, stanziato tra il nord della Nigeria e il sud del Niger.
    Ci si immerge in un mondo di prevalente tradizione sufi, apparentemente lontano, ma che rimanda ad antiche pratiche protettive, divinatorie e taumaturgiche del Medio Oriente, del mondo greco-romano, della Cabala ebraica, fno all’alchimia occidentale medievale.

    La collezione si compone di autentici manoscritti religiosi e poetici, tavole utilizzate per lo studio e la memorizzazione del Corano, diplomi di completamento degli studi religiosi, tavole in legno e metallo per la protezione delle case e delle persone, oggetti simbolici come pelli e formule apotropaiche, esemplari di ricettari popolari sulle scienze esoteriche, talismani e oggetti per la divinazione.

    La ricerca ridimensiona una presunta magia soprannaturale africana, talvolta interpretata in accezione negativa dalla cultura occidentale. Interessante la creazione di un ponte tra magia e religione, intese come pratiche culturali di popoli solo apparentemente distanti, grazie anche al prezioso contributo di molti studiosi internazionali (Anastasia Grib, Constant Hamès, Aliyu Muhammadu Bunza, Elio Revera, Karimu Adejare Amao e Ismaila Abefe Bakare).

    *Andrea Brigaglia: ricercatore a tempo determinato (RTDB) presso il Dipartmento Asia, Africa e Mediterraneo dell’ Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Precedentemente, Senior Lecturer presso il Department of Religious Studies, University of Cape Town (Rep. Sudafricana). Nelle sue ricerche antropologiche, pubblicate in numerose riviste internazionali, si è occupato di aspetti storici, politici, letterari ed estetici dell’Islam contemporaneo in Nigeria. Ha curato insieme a Mauro Nobili, il volume TheArts and Crafs and Literacy: Islamic Manuscript Cultures in sub-Saharan Africa (De Gruyter, Berlin 2017).

    *Gigi Pezzoli: Presidente del Centro Studi Archeologia Africana presso il Museo di Storia Naturale di Milano. Membro del Comitato ordinatore del Museo degli Sguardi - Raccolte etnografche di Rimini. Responsabile della missione di ricerca in Togo del Centro Studi Archeologia Africana/Museo di Storia Naturale di Milano e del Ministère de la Culture du Togo/Université de Lomé. Membro del Comitato direttivo del Centro Studi di Storia delle Arti Africane - Università Internazionale dell’Arte di Firenze. Organizzatore di conferenze internazionali sulle culture dell’Africa. Curatore di diverse mostre e autore di pubblicazioni sull’antropologia e sull’arte tradizionale africana, tra cui la prima sulle tavole talismaniche Hausa, Alluna. Mondo e spiritualità Hausa (Centro Studi Archeologia Africana, Milano 2013).

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  • Costa d'Avorio, migrazione e miele

       Secondo i dati delle autorità italiane e del ministero degli interni della Costa d'Avorio, almeno 1500 ivoriani sono censiti ogni mese sulle coste italiane. E un terzo dei migranti che arrivano in Italia provengono dall'ex colonia francese del golfo di Guinea. Passano da Daloa, nel centro-ovest del paese, o da San Pedro nel sud-ovest, diretti comunque in Libia per poi raggiungere l'Europa. Eppure la Costa d'Avorio, paese poco popoloso e ricco di materie prime agricole come caffè e cacao, esercita, a sua volta, una forte attrazione sugli africani stessi dei paesi confinanti: Togo, Benin, Burkina Faso, Mali, Guinea, Senegal.
    Questa immigrazione dai paesi della sotto-regione francofona era stata favorita dalla Francia. E per tre decenni questa politica liberale aveva dato il diritto  ai "fratelli" dell'Africa occidentale di avere accesso alla terra ivoriana, ai pubblici impieghi e persino a diverse elezioni.
    Il clima è progressivamente e profondamente cambiato. Se i giovani ivoriani sono attirati dall'Europa o dal Canada, i confinanti sono attirati per le stesse ragioni dalla Costa d'Avorio. In effetti, secondo il FMI, questo paese sarà leader nella regione in materia di crescita economica per i prossimi due anni, con cifre tra il 7% e l'8%. Tuttavia in alcune regioni periferiche il tasso di disoccupazione resta alto. Per gli immigrati è difficile trovare lavoro, e più facile entrare nelle spire della criminalità. 
    Gli sforzi dei paesi occidentali, insieme alle nazioni africane terra d'esportazione, dovrebbero favorire il legame tra i nativi e la loro terra, non il land grabbing o l'importazione di manodopera e di cervelli.
    Una piccola iniziativa esemplare da moltiplicare, per legare invece gli africani alla loro terra, è nata nel nord ovest della Costa d'Avorio a Kani, zona tropicale. Qui molti giovani di etnia mossi, provenienti dal Burkina Faso (ex Alto Volta) dove hanno abbandonato le terre d'origine, sono migrati per cercare un improbabile lavoro. Così un giovane missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), il brasiliano padre Valmir Manoel Dos Santos, ha lanciato un progetto di apicoltura!
    Si chiama "Wend Songda", cioè "onnipotenza di Dio" nella lingua mooré parlata dai mossi. Una piccola realtà in un contesto prevalentemente musulmano (90%), con 7-8% animisti, 2% cristiani e 1,5% cattolici. Con l'aiuto del consiglio parrocchiale di Kani, di alcuni esperti locali e della capitale Abidjan, (ma anche della Fondazione Pime) sono state installate cinquanta arnie e il miele verrà raccolto e commercializzato dalla cooperativa creata allo scopo. In effetti il miele è molto ricercato in tutto il paese, e nella zona la produzione è scarsa. Inoltre il progetto incoraggia anche l'autonomia oltre alla formazione, poiché una volta imparato il "mestiere", gli apicoltori, anche non cristiani, potranno lavorare anche in proprio, senza abbandonare la cooperativa.

  • Gaudio tradotto in arabo

    Lo studioso e amico Vermondo Brugnatelli (linguista, docente universitario, ricercatore, esperto di lingua berbera) è venuto quasi casualmente a conoscenza di un libro di Attilio Gaudio tradotto in Arabo.  
                                                                                                                             
         
                                                                                                  
    Recentemente ha partecipato ad un convegno a Tokyo sugli Ibaditi (islamiici non sunniti nè sciiti, unico ramo sopravvissuto dei kharigiti, religione fondata da ‛Abd Allāh ibn Ibāḍ al-Murrī, in Mesopotamia nell'8° secolo).
     
    Qui ha incontrato dei berberi musulmani ibaditi dello Mzab (Sahara algerino) che gli hanno parlato di un "bel libro scritto da un italiano", di cui non ricordavano il nome, che parla delle donne di Ghardaia (città principale della valle dello Mzab), e in particolare di una berbera mozabita. E questo libro era stato perfino tradotto in arabo, e pubblicato a Beirut.
     
    L'autore è proprio Attilio Gaudio (anche se il nome scritto in stampatello sulla copertina è Caudio!) che ha scritto sessant'anni fa “La révolution des femmes en islam” edito da René JULLIARD, 30 rue de l'Université, Paris, 1957. Finora il libro non è mai stato pubblicato in italiano, ma esiste anche il testo in pdf dell'edizione araba.
    Esiste un altro libro di Gaudio sull'argomento, scritto parecchi anni dopo con la collega dell'Agenzia Ansa di Parigi Renée Pelletier:  "Femmes d'Islam, ou le sexe interdit" (editore DENOEL/GONTIER, 1980 - 19, rue de l'Unversité, Paris 7°, collection femme.)
  • Stop allo sviluppo ecocida?

    Se tutti conoscono il significato della parola ecologia (dal greco casa, ambiente e discorso, studio), delle sue branche scientifiche e dei vari termini derivati, l’ecocidio può apparire misterioso. Anche perché tra i primi significati su internet si trova un concetto minaccioso (espresso da Jeremy Rifkin nel suo saggio omonimo): “ascesa e caduta della cultura della carne”. In realtà ecocidio significa distruzione dell’ambiente naturale, danno ambientale esteso. E Rifkin, partendo dalla sacralizzazione dei sacrifici umani e animali, basandosi su dati antropologici, ecologici, economici, afferma che l’evoluzione del consumo della carne nei paesi occidentali industrializzati porta malattie, enormi squilibri ambientali, spreco di grandi quantità di cereali, aumento di povertà e fame nei paesi del terzo mondo. Anzi, studiando in particolare l’evoluzione della geografia agricola della Francia, ritiene che la propensione ecocida della popolazioni rurali prima della Rivoluzione Francese abbia coinciso che la prima ondata sconsiderata dell’industrializzazione moderna

    . Siccità in Somalia (foto Attilio Gaudio, circa 1960)

    Di modello di sviluppo ecocida si parlerà martedì 07 febbraio 2017 a Verona (Nigrizia, Sala Africa dei Missionari Comboniani, Vicolo Pozzo 1 – ore 20,30). Ad affrontare il tema sarà Stefano Squarcina, esperto di politiche ambientali e di cooperazione allo sviluppo, in particolare con l’Africa. Le attività economiche umane rappresentano sempre più un pericolo per la sopravvivenza dei viventi e del pianeta stesso. E’ urgente mettere in pratica le misure sottoscritte da oltre 190 paesi dell’ONU negli accordi di Parigi nel 2015. In precedenza, infatti, lo Statuto di Roma (Art.8, 2b, iv) della Corte penale internazionale (firmato nel 1998, entrato in vigore nel 2002 e modificato nel 2010) non aveva incluso l’ecocidio tra i “crimini internazionali contro la pace” insieme al genocidio; si erano opposti Regno Unito, Usa e Paesi Bassi. I danni “diffusi, duraturi e gravi all’ambiente naturale” erano stati inseriti tra i crimini di guerra. Quindi l’ecocidio sarebbe un crimine in tempo di guerra ma non in tempi di pace.

    Ma i rifugiati climatici nel mondo sono ormai più di 180 milioni. Deforestazione, siccità, distruzione delle zone umide, erosione dei suoli e conseguente ulteriore impoverimento delle popolazioni hanno raggiunto in Africa dei livelli di criticità mai conosciuti nella storia dell’umanità. Durante l’incontro di Nigrizia verranno discusse misure per combattere il “debito climatico”, azioni a favore della “giustizia climatica” (ad esempio riorientamento della fiscalità a fini climatici o transizione energetica), nuove forme e meccanismi di finanziamento della politica di cooperazione internazionale, soprattutto europea, verso l’Africa e altre aree del pianeta. Occorre ripensare le politiche di intervento nei paesi impoveriti, favorire un’agricoltura sostenibile, la decarbonizzazione dell’economia, la protezione e democratizzazione dell’uso delle risorse idriche potabili e non, la lotta alle emissioni di gas ad effetto-serra, alla deforestazione, ecc... Il problema non presenta solo aspetti climatici, politici e macroeconomici, ma anche etici e sociali a tutti i livelli, come il land grabbing (acquisizione su larga scala di terreni agricoli soprattutto in paesi in via di sviluppo) la costruzione di grandi dighe, lo spostamento di grandi masse di popolazione, l’esproprio di aree tribali o di piccoli appezzamenti preziosi l’autosufficienza alimentare, la dipendenza dalle sementi ogm, le estese monoculture per la produzione di materie prime o biocarburante per i paesi ricchi, la delocalizzazione delle grandi industrie, persino i parchi nazionali con ambigua protezione di flora e faura ma con bracconaggio commerciale e privazione dei diritti di caccia tradizionali dei nativi … infine la globalizzazione.

  • Oggi l'Africa a Bolzano, 15-16-17 gennaio 2020

    Il Museo Civico di Bolzano (via Cassa di Risparmio 14, ingresso libero) inaugura l'anno 2020 con Il regista Lucio Rosa e alcuni dei suoi film e documentari sull'Africa, nella sala delle stufe:
    - mercoledì 15 gennaio 2020, alle ore 18.00 - BILAD CHINQIT (59’);
    - giovedì 16 gennaio 2020, alle ore 18.00 - IL SEGNO SULLA PIETRA (59’);
    - venerdì 17 gennaio 2020, alle ore 18.00 - BABINGA, piccoli uomini della foresta (25’) e a seguire: IL “RAGAZZO” CON LA NIKON (30’)

    Anche la mostra fotografica verrà inaugurata quest’oggi alle ore 18 e resterà poi aperta con i seguenti orari: 10-12.30 e 16-19.30. Per Lucio Rosa si tratta di una preziosa occasione per proporre nella sua città il frutto di tanti anni di esplorazione dell’Africa, “armato” solo di macchina fotografica e cinepresa, un’attività iniziata ufficialmente proprio a Bolzano nel 1975, quando fondò assieme alla moglie Anna, sua collaboratrice, la casa di produzione Studio Film Tv. Una passione trasformata in lavoro, che ha dato all’autore parecchie soddisfazioni e premi in importanti festival internazionali.

    BILAD CHINQIT, il paese di Chinguetti, è la Mauritania, regione nata dal Sahara, che per secoli ha fatto da confine tra l'Africa mediterranea e il Bilad Es Sudan, il paese dei Neri. film rievoca infatti le civiltà, gli imperi e le città che hanno avuto la Mauritania quale protagonista del mondo antico e medioevale. Nel Medioevo era un crogiolo di razze e culture, significava l'slam e le scienze, la filosofia. E ancora antichi manoscritti in lingua araba, le "università delle sabbia" o "università a cammello", il sapere di un popolo, e ancora sabbia . Lontana e profonda, segnata da grandi passaggi di civiltà, fin dal lontano Neolitico è la storia della Mauritania.

    Il SEGNO SULLA PIETRA illustra la storia millenaria del Sahara, in un alternarsi di fasi climatiche estreme e di vicende di uomini che fecero di questa regione la loro dimora: 12.000 anni fa, dopo una fase di aridità estrema, ritornò la pioggia e la vita ricominciò a germogliare lentamente. In un Sahara fertile e verdeggiante, ricco di acqua, prosperarono gruppi umani che praticavano caccia, nomadismo e pastorizia. Così, nel Sahara centrale, sui massicci del Tadrart Acacus e del Messak, nel sud-ovest della Libia, si formarono le prime comunità, tenaci e vitali, culturalmente compiute, che riuscirono anche ad elevare a linguaggio pittorico il loro vissuto quotidiano.

     BABINGA, (vedi in questo sito, maggio-giugno 2019: L'Africa che scompare, I Pigmei Babinga) i piccoli uomini della foresta, un vero documento che parla dei Pigmei che vivono, meglio vivevano secondo la loro cultura e tradizioni, nella foresta pluviale della Repubblica Popolare del Congo… ora ci sono ancora i Pigmei, piccoli uomini, ma la loro cultura si è frantumata. Non sono più i cacciatori-raccoglitori della preistoria, protetti dall' impraticabile foresta equatoriale africana. Il meticciato e il contatto con le tribù vicine, e con altre civiltà straniere, sta distruggendo habitat, cultura e tradizioni.

    IL “RAGAZZO” CON LA NIKON (vedi in questo sito maggio-giugno 2019) è il regista stesso, che ha scattato migliaia di fotografie, appunto con la Nikon (che gli era stata regalata da ragazzo), nel corso degli anni fino all' “Ultima, nell’aprile 2013… poi il buio per questo splendido Paese”, ricorda con amarezza Lucio Rosa. Il 23 aprile 2013 il regista  era appunto a Tripoli al ministero del Turismo e Cultura per firmare il contratto di un film su Ghadames, la grande oasi ai margini occidentali del Sahara libico nel punto d'incontro di Libia, Algeria e Tunisia. “Ma un attentato all’ambasciata francese ha bloccato Tripoli… fuggi fuggi… imbarco sul primo aereo per riornare in Patria, e il film, con la sceneggiatura e storyboard approvati, è finito nel cassetto. In attesa… Ad oggi è ancora lì, ricoperto dalla polvere del tempo… ma ancora vivo nelle mie intenzioni e speranza… ma verrà il giorno…” conclude il regista.

     

     

  • Etiopia 2020: acqua e fuoco (2)

     

    DIGA SUL NILO AZZURRO - Il riempimento e' iniziato

         

    Cascate del Nilo Azzurro dopo l'uscita dal lago Tana (Foto MGC, 2012)   Queste Cascate, conosciute come Tis Issat o Tissisat in amarico (acqua fumante) sono situate nella prima parte del corso del fiume, circa 30 km dalla cittadina di Bahar Dar e dal Lago Tana.

    E' in costruzione avanzata in Etiopia, nello stato di Benishangul-Gumuz, a circa quindici chilometri a est del confine con il Sudan la diga “Grand Ethiopian Renaissance Dam” o GERD (in amarico : ህዳሴ ግድብ) sul le Nilo Azzurro. Anzi, è iniziato questa estate lo riempimento nonostante l'assenza di accordi con gli stati confinanti. Immagini satellitari catturate tra il 27 giugno e il 12 luglio 2020 ritraggono l'incremento dell'acqua nel bacino a monte della grande diga, come del resto ha dichiarato il ministro delle Risorse Idriche, dell'Irrigazione e dell' Energia etiopico, Sileshi Bekele. Quello della diga è un progetto da circa 5 miliardi di dollari che, una volta ultimato, darà luogo alla centrale idroelettrica più grande dell'Africa, pari solo a quella di Inga, sul fiume Congo, nel Congo Kinshasa (che funziona però al 10/15 per cento della sua capacità). Chiamata anche Grande Diga del Millennio, o diga di Hidase, questa diga etiopica a gravità avrà una potenza installata di 6.450 MW, l’equivalente di sei reattori nucleari.        

    Il Nilo Azzurro (in arabo Baḥr al-Azraq), dalle acque limpide in contrasto con il Nilo Bianco, ha origine dall'Altopiano Etiopico di origine vulcanica, presso il lago Tana. Mentre il Nilo Bianco (con cui confluisce a Khartoum in Sudan, formando il Nilo) ha una portata quasi costante nel tempo, il Nilo Azzurro è caratterizzato da un regime irregolare, alla base delle piene fluviali annuali che hanno segnato la storia dell’Egitto fin dall’antichità. La costruzione e la messa in funzionamento di questa diga hanno quindi alterato degli equilibri millenari e minacciano la stabilità tra i paesi che sfruttano le acque del fiume. Il particolare l'Egitto, la cui vita continua ad essere legata al fusso e deflusso del Nilo.

    Il progetto, già auspicato dall'ultimo imperatore d'Etiopia Hailé Selassié, e approvato una decina di anni fa dall'allora premier Meles Zenawi (che ha posto la prima pietra il 2 aprile 2011), ha subìto ritardi per lo scandalo che ha coinvolto Metec (industria etiope di armi, attrezzature militari e macchinari fondata nel 2010). Il paese ha bisogno di energia pulita, eventualmente da esportare, per diversificare la sua economia prevalentemente agricola, compromessa dalla siccità, e attualmente anche dalle migrazioni delle locuste.  I lavori, iniziati cinque anni fa, sono stati realizzati principalmente dall’italiana Salini Impregilo (senza gara d'appalto), che ha collaborato anche ad altri lavori idroelettrici in Etiopia, e specialmente alle dighe sul fiume Omo, nel sud.

         

    Il Nilo Azzurro a qualche km dalle cascate (foto MCG, 2012)

    I lavori sono stati eseguiti su entrambi i lati del fiume, che è stato deviato durante la stagione secca mediante canali sotterranei o tubature per consentire la costruzione dello sbarramento. Il fiume così scorre nei canali di derivazione ai lati del muro. Durante la stagione delle piogge, l'acqua in eccesso, che non può defluire nei canali, si aggiungerà al lago che va formandosi dietro la diga. Eventualmente saranno chiuse le valvole a barriera di alcuni canali per aumentare il livelli dell'acqua a monte. Come riportato sul sito di Salini Impregilo, una volta terminati i lavori, il  bacino avrà una lunghezza di 1,8 chilometri e una profondità di 155 metri, con una capienza di circa 74 miliardi di metri cubi d’acqua, che saranno sfruttati per produrre almeno seimila megawatt di energia elettrica. Il gettito annuo del Nilo Azzurro è di 49 miliardi metri cubi.

    L’opera è stata autofinanziata, mentre in passato la Banca Mondiale e altre strutture internazionali avevano rifiutato, per non innescare tensioni con i vicini Sudan e soprattutto Egitto (i trattati internazionale del 1929 e 1959 avevano stabilito che i volumi d’acqua del Nilo dovevano essere divisi tra Egitto e Sudan). Etiopia, Egitto e Sudan avevano anche stipulato un accordo sulla creazione di un comitato scientifico, incaricato di studiare l’impatto della diga. Gli esperti avevano consigliato che, una volta ultimato lo sbarramento, durante la fase di riempimento (si calcola che ci vorranno non meno di tre anni) l’Etiopia avrebbe dovuto consentire la prosecuzione di un gettito d’acqua pari a 35 miliardi metri cubi, mentre l’Egitto ne pretende 40. Tuttavia l'Etiopia negli scorsi mesi ha annunciato la volontà di portare a conclusione il progetto, anche senza un accordo con Egitto e Sudan. Una decisione che ha indotto l’amministrazione Trump a bloccare i fondi, ma in soccorso del primo  ministro Abiy Ahmed è intervenuta la Cina.

    Tuttavia, appena ripresi i colloqui sulla spartizione delle acque del Nilo, i due paesi hanno espresso opinioni ancora divergenti (Il Cairo del resto ha sempre espresso perplessità sulla GERD, temendo un'eccessiva riduzione della portata del Nilo). Si prevedono trattative a ripartire da zero per gli scienziati e i politici, con l’intento di creare una reazione a catena, e trovare un accordo con i Paesi coinvolti per un equo sfruttamento delle risorse idriche del Nilo, sia durante la fase di riempimento, già iniziata, che a regime.

          

    Lago Tana - Bahir Dar (Foto MCG, 2012) - Al tramonto - un pescatore , turisti -

    Il Nilo Azzurro nasce a Gish Abbai, un luogo sacro per la Chiesa etiope, con tre piccole sorgenti nel raggio di 20 metri, a 2 744 metri di altezza.  Il primo europeo a visitare il luogo fu il missionario cattolico spagnolo nel 1618. (vi sorge un venerato santuario). Questa sorgente si versa col nome di Lesser Abbai nel lago Tana.

     

    .

  • Kolowaré 2°

    Scrive Padre Galli: VISITE DALL'ITALIA

    Ancora una volta il Centro Sanitario di Kolowaré ha ospitato un gruppo di medici e dentisti dell’AVIAT (Associazione Volontari Italiani Amici Togo). Questo organismo aveva già provveduto, qualche anno fa, ad allestire un gabinetto dentistico nel Centro, ed ora è perfettamente funzionante. Questo ambulatorio continua la sua attività con un tecnico dentista formato dai dentisti italiani. Questa volta il gruppo era numeroso: presente il responsabile, dottor Gianfranco Mirri, due dentisti, Alessandro e Denis, quattro dottoresse e una infermiera. Con loro erano presenti alcuni oculisti locali che hanno operato un centinaio di pazienti di cataratta. Tutte le spese, intervento, medicine, vitto e trasporto per medici e ammalati, sono stati presi in carico dall’AVIAT.

                      

    Operati in attesa di controllo - Pazienti in attesa

    Il gruppo si è installato al Centro Sanitario, guidato dalla nuova responsabile suor Claire. Il primo giorno hanno lavorato solo la mattinata. Nel pomeriggio siamo andati tutti in un villaggio della parrocchia di Affem Kabyè, ad una cinquantina di km da Kolowaré, per vedere i lavori di scavo per un pozzo, offerto da due dottoresse. Le macchine trivelle erano già sul posto e al lavoro dal mattino. Ad una settantina di metri hanno trovato una roccia, perforata, e da sotto è zampillata una polla d’acqua talmente importante, limpida e pulita, che tutti si sono messi ad applaudire.

                          

    Ad Affem per il rinfresco- E l'acqua esce in abbondanza

    Padre Roberto, il parroco, ci ha poi condotto ad Affem dove, in un parco allestito nel terreno della parrocchia, ha offerto a tutti un rinfresco con pollo arrosto e frittelle di ignami. Affascinati dal posto e dall’ambiente i dottori hanno deciso di venire, il giorno dopo, a curare gli ammalati del luogo. Siamo poi ritornati sul luogo del nuovo pozzo e l’acqua fluiva abbondante. E così martedì 9 novembre tutti i medici, meno i dentisti, sono tornati ad Affem per offrire cure e medicine gratis a tutti.   

                                          

    Con Gamal accanto al nuovo pozzo - Bambino appena operato

    La voce della loro presenza si era diffusa. Il villaggio di Atchibodow è venuto a chiedere di fare una trasferta anche da loro. Giovedì 11, accompagnati da Jean, l’infermiere del Centro, si sono recati al villaggio. Fine mattinata passo a trovarli. I pazienti gremivano la piazza della Chiesetta. Era certamente molto laborioso avere un’attenzione particolare per ogni paziente.

                           Dentisti al lavoro

  • La riscossa di Neandertal

    Nuove scoperte in Spagna sono destinate a rivoluzionare la narrazione dell'evoluzione umana. Anche perché sino ad ora si pensava che il simbolismo fosse comparso in Africa, come segno caratteristico dell'Homo sapiens, che lo trasferì più tardi in Europa con le sue migrazioni.

    "Nella preistoria è sempre una battaglia contro le vecchie idee", commenta Michel Lorblanchet (Centro nazionale della ricerca scientifica francese, CNRS, professore emerito all'università di Tolosa), che ha partecipato a queste ricerche, ora pubblicate sulla rivista Science. Già nel 2012 l'esperto di arte rupestre aveva sostenuto che le pitture più antiche nelle grotte europee erano state scoperte in Spagna, e avrebbero più di 40.800 anni. Rimaneva aperta però la questione se quest'arte rupestre del Paleozoico sia stata o meno opera di uomini di Neandertal. 

    Un'équipe internazionale (università di Southampton, istituto Max Plank di antropologia evolutiva, CNRS francese ...) ha esplorato, studiato ed eseguito datazioni in tre grotte spagnole: la Cueva de la Pasiega (Cantabria), di Maltravieso (Estramadura) e di Ardales (Malaga).

    1) Cueva de la Pasiega, Cantabria (foto P. Saura)

      

    Questo motivo a forma di scala stilizzata è in realtà un "segno" secondo l'antropologia culturale, un simbolo non riconoscibile dalla sola esperienza, ma il risultato di una convenzione sociale. Le linee rosse verticali risalgono quasi con certezza a 64.000 anni fa.

    2) Cueva Maltravieso - Lo stesso si può dire per questa mano dipinta in negativo (a sinistra in situ, a destra fotografata con tecnica apposita), età minima 66.700 anni.

     

    3) I Neandertal coloravano anche le grotte. Nella Cueva de Ardales (Malaga), le colorazioni in ocra rosso, sono state datate con il metodo uranio-torio: 66.000 anni

      

    4) Infine nella Cueva de Maltravieso (Càceres- Estremadura) (Foto H.Collado), troviamo mani incise e dipinte (66.000 anni)

     

    Più di sessantaseimila anni! La capacità squisitamente umana che unisce simbolismo, intelligenza creativa e linguaggio sarebbe forse nata molto tempo prima di quanto si pensasse?  Eppure gli umani moderni (Homo sapiens sapiens) avrebbero abitato l'Europa solo circa 20.000 anni fa (per alcuni 40.000, provenienti da est), mentre l'Homo erectus avrebbe lasciato l'Africa 1,8 milioni di anni fa. Solo l'Homo sapiens neanderthalensis, ritenuto molto primitivo, abitava l'Europa.  Allora chi può aver realizzato queste opere? Le pitture, rosse o nere, con rappresentazioni di animali, punti, figure geometriche con mani (forse anche posteriori alla datazione) si trovano in tre grotte distanti tra loro settecento chilometri; il che indica un sentire comune, la percezione di un simbolo, la "lettura" condivisa da umani intelligenti.

    Questo significa che, se il sapiens moderno non c'era ancora, l'arte rupestre del Paleolitico è (sarebbe) da attribuirsi ai Neandertal, quell' Homo sapiens neanderthalensis che era l'unico abitante dell'Europa all'epoca (insieme ai Cro-Magnon provenienti però dal lontano oriente). Qualche studioso avanza già un'ipotesi: si tratterebbe di una sola specie di Homo sapiens con flusso genetico attraverso i continenti, tra "cugini", il sapiens antico e quello moderno. Del resto un'altra vecchia idea è crollata: i Neandertal non sono completamente scomparsi, sostituiti da H. sapiens sapiens. Oggi ciascuno di noi ha nel DNA il 2-3% di genoma neandertaliano, ma non tutti hanno la stessa porzione - quindi in totale si calcola che sia presente il 40-50% di DNA di Neandertal nell'umanità moderna.

    Come afferma uno dei principali studiosi di questa ricerca, Dirk Hoffmann (Istituto Max Planck)," La nascita della cultura materiale simbolica ...è uno dei principali pilastri del nostro essere umani", e finora era stata attribuita ai Neandertal in Europa di circa 40.000 - 50.000 anni fa, e solo limitatamente agli ornamenti corporei.

    Ma i primi manufatti simbolici, risalenti a 70.000 anni, sono stati trovati in Africa, e dall'Africa si stavano man mano diffondendo in tutta l'Europa presso i suoi abitanti dell'epoca: i Neandertal. Che non possono più essere considerati brutali e rozzi, incapaci di avere un comportamento simbolico. Invece bisogna riconoscere che sapevano creare immagini con un senso, scegliere i luoghi adatti, pianificare la sorgente di luce nella grotta, mescolare i pigmenti.
    (M.C.G.)

     

  • Scoperti utensili paleolitici in India

    I risultati dei lavori di un'équipe britannica (pubblicati sul quotidiano online The Independent) sembrano aggiungere nuove ipotesi alle teorie sull'evoluzione umana.

    Nel sito archeologico di Attirampakkam, nel sud-est dell'India (60 km da Chennai, Tamil Nadu) sono stati scoperti strumenti antichi di almeno 385.000 anni, epoca che coincide con il periodo in cui questa tecnologia sarebbe stata utilizzata per la prima volta dall'uomo moderno in Africa. Finora si pensava invece che L'India avesse conosciuto questa tecnica tra 140.000 e 46.000 anni anni fa, con la migrazione dall'Africa dell'uomo moderno. Questa scoperta anticiperebbe questa migrazione dall'Africa verso l'Asia ad almeno 400.000 anni fa; sarebbe quindi più antica di quanto si pensava? Oppure gli ominidi indiani di quell'epoca hanno sviluppato una propria cultura del Paleolitico Medio? E ancora: si tratta di uomini moderni o di Neandertaliani o di altre specie arcaiche?

      Rimangono quindi molti interrogativi, soprattutto  per la mancanza di resti umani associati alle scoperte. Anche perché in passato si era parlato di utensili di un milione e mezzo di anni! 

  • Stonehenge esisteva prima del genere umano?

    La rivista British Archaeology ha pubblicato i risultati di uno studio del ricercatore inglese Mike Pitts, secondo il quale due delle famose pietre di Stonehenge sarebbero preesistenti all'arrivo dell'uomo in Inghilterra. Questo sito, il più celebre ed imponente cromlech (circolo di pietra) della preistoria, si trova ad Amesbury nello Wiltshire, circa 13 chilometri a nord-ovest di Salisbury (sud dell'isola). Le rocce, chiamate Heel Stone (Pietra del tallone), sono poste a 1,75 metri dal centro del circolo, dove si trova la Stone 16, e i loro fori sono allineati con il sorgere e il calar del sole ai solstizi di inverno ed estate.

     Da anni archeologi e storici si interrogano sul significato del misterioso monumento circolare di pietra. La datazione radiocarbonica indica che la costruzione fu iniziata nel 3100 a.C., e si concluse verso il 1600 a.C.. In base alla nuova ricerca invece si pensa che almeno due pietre siano del tutto naturali, sempre esistite in loco.

    Infatti lo stesso Pitts, nel 1979, aveva trovato, scavando vicino al sito, resti di queste pietre, che sarebbero state trascinate a valle dall'azione di un ghiacciaio dalla vicina catena collinare (Marlborough Down) poi abitata dai pastori nomadi del paleolitico e del mesolitico.

    In effetti si è sempre pensato che queste pietre di sarsens (blocchi di arenaria locale), del resto diffusissime in tutta la Gran Bretagna, provenissero dai rilievi vicini e sarebbero rimaste parzialmente interrate; altre, ma moltissimi anni dopo,  sarebbero state trascinate da altri luoghi per completare il monumento.

    Ma perché pietre del tallone? La tradizione racconta che il diavolo "comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon, le altre vennero portate sulla piana. Il diavolo allora gridò, "Nessuno scoprirà mai come queste pietre sono arrivate fin qui". Un frate rispose, "Questo è ciò che credi!", allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate e lo colpì su un tallone. La pietra si incastrò nel terreno, ed è ancora lì."

     

     

     

  • Persia: graffiti di cinquemila anni

    Un'équipe di archeologi ha scoperto nella regione di Isfahan, lungo il percorso di antiche vie di comunicazione commerciali, economiche e culturali, antiche rocce incise con vari segni e simboli, risalenti al terzo millennio a.C. (età del Bronzo) fino al periodo preislamico.

      incisioni a Meymeh

    Lo ha annunciato il capo della Isfahan's Cultural Heritage Organisation, Fereydoun Alahyari, sottilineando che si tratta delle prime manifestazioni, nella regione, di una forma di comunicazione non verbale e intuitiva tra popolazioni vicine preistoriche.

    E' durante le ricerche nelle città di Shahin Shahr e Meymeh, poi estese a Kashan, Ghamsar,  e Golpayegan verso nordest, che sono state fatte varie scoperte: un'antica collina del periodo sasanide (224-651 d.C., secondo impero persiano), una zona mineraria del periodo samanide (819-1005 d.C.), varie tombe  anch'esse preislamiche.

    Così, cinquemila anni fa, antiche strade collegavano -grazie alle indicazioni di queste pietre, conosciute come Negarkand- le economie e le civiltà degli abitanti dell'altipiano iraniano, ben prima dell'arrivo di altre popolazioni scese da nord.

  • L'Africa che scompare: i Pigmei Babinga

       (foto L.Rosa) 

    "Addio BaBinga, piccoli uomini della foresta": così s'intitola il nuovo lavoro di Lucio Rosa con la moglie Anna.

    Regista, documentarista, giornalista, fotografo, Rosa ha raccolto e commentato le sue storiche foto-documento in bianco e nero scattate trent'anni fa nella Repubblica Popolare del Congo, Africa Equatoriale.  Foto che saranno oggetto di una mostra  programmata per fine estate a Bolzano. Inaugurazione il 9 o 10 settembre 2019 in via Orazio, Espace La Stanza, dove l'anno scorso (febbraio 2018) si era tenuta un' altra mostra fotografica dal titolo "Antiche architetture berbere. Lybia by Lucio Rosa".  Anche qui foto sempre (o quasi) in bianco e nero, che per Lucio "è il colore base della fotografia. Soprattutto certe foto, devono essere fatte di luci e ombre, più che di colori".

    In Libia questo artista della luce ha "catturato architetture incredibili, soprattutto a Ghadames", dove ha girato anche un film dal titolo "Con il fango e con la luce". In Congo invece è l'elemento umano che fa da protagonista, anche perché queste foto sono un addio: "addio in un quanto, pur esistendo ancora i BaBinga, ed essere ancora "piccoletti", dice il regista, la loro cultura, le loro tradizioni, sono ormai "perdute" per sempre. I BaBinga, come anche altri Pigmei, sono usciti dalla foresta per vivere accanto e con i Bantu, in un rapporto che li vede sicuramente perdenti. Con le fotografie ho documentato le ultime testimonianze di questo fragile microcosmo, di cui ho voluto cogliere la sua anima originaria."

    Nella foto in alto (gentilmente concessa dall'Autore come quella in basso), vediamo tre generazioni: il bambino, l'adolescente e l'adulto nel loro habitat tradizionale. Ma per quanto tempo? Superstiti testimoni di epoche antichissime, i pigmei Babinga continuano ad essere studiati soprattutto per definire gli elementi originari e genetici della loro civiltà, che probabilmente ha costituito il substrato africano preistorico nella vasta area del Sahara centrale, dagli altopiani orientali all'Atlantico. Furono poi respinti nelle aree forestali più impervie dall'espansione del gruppo negroide, parzialmente fondendosi con questo nelle aree marginali.

    Questi piccoli uomini sono dunque la testimonianza di quella che fu probabilmente la vita dei cacciatori-raccoglitori della preistoria. La buia e impraticabile foresta equatoriale ha contribuito a proteggere le loro caratteristiche. Oltre ai TYwa e Tswa, sostanzialmente pigmoidi anche se meticciati con elementi negroidi, si distinguono due raggruppamenti, considerati i più "puri": i Mbuti o Bambuti, suddivisi in alcune famiglie che nomadizzano nel bacino dell'Ituri, e i BaBinga o Binga, con  numerose tribù, praticamente sedentari nel bacino del basso Oubangui fino alla sua confluenza con il Congo.

    I Pigmei non vanno considerati semplicemente dei Neri in miniatura. Le loro caratteristiche somatiche e genetiche li collocano in un gruppo peculiare, con una propria differenziazione e una conformazione che per le proporzioni ricorda abbastanza da vicino quella di un bambino nella prima infanzia (fenomeno di isolamento o neotenia?): statura molto piccola (media oscillante da 1,37 m a 1,45 m); cranio tendenzialmente brachimorfo; pelle di colore giallo-rossiccio più o meno scuro, ma non nero; occhi castani; capelli corti e crespi; barba ben sviluppata; labbra pronunciate; naso decisamente platirrino; tronco relativamente lungo rispetto agli arti inferiori che appaiono brevi; arti superiori piuttosto lunghi, frequenza di un fattore glubulinico specifico e di gruppi sanguigni A e B più alta rispetto a quella del gruppo negroide, minore pelosità, presenza di un fattore glubulinico specifico, infine bassa incidenza di anemia falciforme.

    (foto Lucio Rosa)

    Ma le cose stanno cambiando repentinamente: l'impatto con altre civiltà sta fatalmente inquinando, come in altre parti del mondo, cultura e tradizioni. Eppure il cuore di Lucio Rosa è sempre là: "Io l’Africa la conosco dal di dentro, nel male e nel bene.** Ho evitato le bombe, sono stato boicottato, tanti miei progetti sono svaniti nel nulla... La prima volta che sono andato in Africa mi ha lasciato stordito. Amo i profumi, i colori, la gente dell’Africa. Erano sempre disposti ad aiutarci quando dovevamo girare. A cominciare dai Pigmei. Ma sta tutto cambiando purtroppo. Nella prima scena di un mio film, che mi ha chiesto Piero Angela, c’è un Pigmeo con l’arco e le frecce, nell’ultima c’è un Pigmeo con un fucile. Ho detto tutto".

    *Babinga, piccoli uomini della foresta - Italia - Regia: Lucio Rosa - Durata: 27’
    Anno di produzione: 1987 - Produzione: Studio Film Tv
    Consulenza scientifica: Lucio Rosa

    **Altri lavori di Lucio Rosa, gentilmente concessi per la mostra di Attilio Gaudio, sulle biblioteche del deserto, a Milano, nel 2008: Scrivere sulla sabbia
    Il Segno sulla Pietra (58') (2006)   -      Bilâd Chinqît - Il Paese di Chinguetti (59') (2004)


  • Togo, pozzi e trivellazioni

     

    La missione di Kolowaré è diventata, poco più di un anno fa, la Paroisse St Léon IX. Il nostro amico padre Silvano Galli (SMA, Società Missioni Africane - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) da anni in Togo, ci comunica anche che qualche settimana prima era deceduto il decano di tutti i padri SMA del Togo, padre Jean Perrin, dopo 64 anni di missione in questo paese.

    Ma i missionari continuano a portare avanti il progetto "trivellazioni e pompe" grazie al sostegno del Novara Center. Senza acqua non c'è vita, ribadisce padre Silvano. E i villaggi vicini hanno già acqua in abbondanza. Nelle foto, gentilmente inviateci, l'équipe è al lavoro.

     

      Visite
     
    Soeur BéatriceBlandine
    Soeur RégineYayo

     
    Jean Marie
    PersonnelL'assistant Senanou
     
     

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