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Eventi

Etiopia -Sulle orme degli antichi esploratori

Lunedì, 05 Febbraio 2018 16:43

Il Centro Studi Archeologia di Milano (CSAA) che opera presso il Museo di Storia Naturale di Milano, (grazie a una convenzione con il Comune recentemente rinnovata) comunica che dal 28 gennaio 2018 è allestita presso la sede della Società Geografica Italiana (via della Navicella 12, Roma) la mostra "La bellezza rivelata: un viaggio nella terra d'Etiopia sulle orme degli antichi esploratori".

L'Etiopia, scrive il presidente del CSAA Gigi Pezzoli, è da millenni terra di varietà e contrasti, di diversità ambientali e culturali, di opposti che magicamente si attraggono ed interagiscono facendo convivere, in un caleidoscopio di immagini, volti, paesaggi, suoni e colori, le straordinarie genti che la occupano, la loro cultura e le loro tradizioni, il deserto, la depressione dancala, la savana, i grandi fiumi, i laghi, le vette imbiancate delle cime più alte, le caratteristiche ambe.(foto MCG)

Questa incredibile ricchezza e l’affascinante varietà ambientale e culturale hanno attratto, nel corso dei secoli, un gran numero di viaggiatori ed esploratori che, spinti dal richiamo dell’avventura, dalla curiosità e dalla sete di sapere, hanno attraversato in lungo e in largo questi territori (spesso a prezzo della loro stessa vita) e dei loro viaggi hanno lasciato diari, resoconti, carte, schizzi, ritratti, foto.
Hanry Salt, Theophile Lefebvre e l’italiano Vittorio Bottego sono solo alcuni dei tanti esploratori europei che, tra Ottocento e Novecento, hanno contribuito alla scoperta e alla conoscenza di questo territorio,muovendosi dai grandi laghi meridionali alle guglie dell’altopiano settentrionale, dalle terre infuocate della Dancalia a est, alle regioni montuose a ovest.


La mostra, organizzata da Caluma, da Carlo e Marcella Franchini, dall’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” dal Prof. Andrea Manzo e dalla Dott.ssa Luisa Sernicola, intende raccontare di quei luoghi visti e descritti dagli esploratori dei secoli scorsi attraverso carte geografiche, schizzi, stralci di diari, oggetti etnografici e libri antichi e rari.
Per chi volesse saperne di più, consultare il sito www.labellezzarivelata.com  (foto MCG)

L'Africa si racconta a Firenze: 14.04.2017 ore 16:30

Lunedì, 10 Aprile 2017 16:08

 Con questo volantino l'associazione Transafrica di Firenze anuncia l'ottavo ciclo di incontri sulla realtà sociale e culturale dell'Africa, in collaborazione con la Biblioteca delle Oblate (via dell'Oriolo 24, Firenze), con la partecipazione di alcuni giovani migranti e con l'intervento dell'ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) nella persona dell'avvocato Luigi Tessitore. Saranno presenti anche Bassi Balde e Makamba Coulibali, del progetto InAltreParole, con il loro video "AVVENTURA".

Infatti venerdì 14 aprile a Firenze si parla di MIGRAZIONI FORZATE DALL'AFRICA SUBSAHARIANA E OBBLIGHI DI PROTEZIONE, indagando sulle principali cause di questa migrazione, sulle rotte migratorie e le principali vie di fuga dai paesi d'origine, nel quadro delle norme di diritto nazionale e internazionale in materia di protezione e giurisprudenza recente.

ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) è nata all'inizio degli anni 90 da un gruppo di avvocati, giuristi e studiosi, con l'intenzione di condividere la normativa in tema d’immigrazione ed ha, nel tempo, contribuito con i suoi documenti all’ elaborazione dei testi normativi, statali e comunitari in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, promuovendo nel dibattito politico-parlamentare e nell’ operato dei pubblici poteri la tutela dei diritti nei confronti degli stranieri. Inizialmente formata da professori universitari e avvocati, nel tempo ASGI è diventata punto di riferimento di associazioni, enti pubblici e privati, oltre che di studenti, praticanti avvocati, assistenti sociali e quanti hanno interesse e necessità di rimanere aggiornati e confrontarsi giornalmente di fronte all’ evolversi del fenomeno dell’immigrazione.

2018 Firenze - Incontri Transafrica

Martedì, 30 Gennaio 2018 09:47

INCONTRI TRANSAFRICA 2018
Biblioteca delle Oblate - Via dell'Oriuolo 24, Firenze

L’Africa che fa parlare di sé

Nono ciclo di incontri sulla realtà sociale e culturale dell’Africa in collaborazione con la Biblioteca delle Oblate 

Venerdì 26 gennaio - ore 18.00

“DiMMi”: storie e voci migranti - DiMMi (diari multimediali migranti) è un progetto finanziato dalla Regione Toscana con l’obiettivo di sensibilizzare e coinvolgere i cittadini sui temi della pace, della memoria e del dialogo interculturale e di creare un fondo speciale dei diari migranti presso l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. 

Venerdì 16 febbraio ore 18.00

Forum sull’arte africana in Italia -Un dialogo con Adama Sanneh, Neri Torcello e Janine Gaelle Dieudji - Modera Justin Randolph Thompson - Nell’ambito della terza edizione di Black History Month Florence presentazione di una tavola rotonda sul rinnovato interesse per l'Arte Africana in Italia, le tendenze e le implicazioni del recente boom di mostre e la crescita di interesse istituzionale. 

Venerdì 16 marzo ore 18.00

Azalaï: il tempo delle carovane - Parliamo del libro Azalaï: il tempo delle carovane di Giosuè Bolis e Miriam Butti (Periplo). Unirsi ad una carovana del sale, sapendo di avere di fronte a sé molte centinaia di chilometri da percorrere prevalentemente a piedi, è una scelta che si può compiere solo dimenticando il buon senso quotidiano. D'altra parte, che buon senso c'è nell'immobilità fisica e mentale?

Venerdì 6 aprile ore 18.00

Migrazioni e lavoro in Italia - Incontro con Avv. Luigi Tessitore - ASGI

ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) è nata all'inizio degli anni ’90 da un gruppo di avvocati, giuristi e studiosi, con l'intenzione di condividere la normativa in tema d’immigrazione ed ha, nel tempo, contribuito con i suoi documenti all’elaborazione dei testi normativi, statali e comunitari in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, promuovendo nel dibattito politico parlamentare e nell’operato dei pubblici poteri la tutela dei diritti nei confronti degli stranieri. Inizialmente formata da professori universitari e avvocati, nel tempo ASGI è diventata punto di riferimento di associazioni, enti pubblici e privati, oltre che di studenti, praticanti avvocati, assistenti sociali e quanti hanno interesse e necessità di rimanere aggiornati e confrontarsi giornalmente di fronte all’evolversi del fenomeno dell’immigrazione.

 Il tempo delle carovane - Cammelli all'abbeverata nei pressi di un villaggio carovaniero, nel Marocco presahariano

(foto A.G.)

MOSTRA "Il Cacciatore Bianco in Africa": 31 marzo - 3 giugno 2017

Venerdì, 17 Marzo 2017 14:02

Galleria Bartolomucci, African Art Gallery-Milano (foto M.C.G.)

Un' originale mostra sull'arte africana sarà inaugurata il 30 marzo presso FM Centro per l’Arte Contemporanea, via Piranesi 10, Milano, e sarà aperta dal 31.03.2017 al 03.06.2017.

Il titolo  “Il Cacciatore Bianco/The White Hunter. Memorie e rappresentazioni africane. African memories and representations” vuole indicare che non si tratta semplicemente di

una mostra sull'arte africana, ma sulla costruzione che l'Occidente ne ha fatto.

Come scrive Marco Scotini, curatore della mostra e direttore artistico di FM Centro per l'Arte Contemporanea, "La ricognizione parte da una critica radicale del nostro sguardo sull'Africa. Siamo sicuri che quello che ha visto il cacciatore bianco, all'inizio del secolo scorso, non continui ad essere ancora l'oggetto del nostro sguardo sull'Africa? ..."

Il percorso è articolato in cinque sezioni, con oltre 150 opere e 30 artisti contemporanei e altrettanti anonimi artisti tradizionali.  All’iniziativa è associato un programma di eventi,

incontri e conferenze.

ottobre 2017, PIME - La tragedia del Sud Sudan

Venerdì, 15 Settembre 2017 17:27

Mercoledì 4 ottobre, alle ore 21, padre Daniele Moschetti, missionario comboniano a Juba, racconterà "IL MIO SUDAN IN AGONIA: guerra e pace nel paese più giovane e martirizzato d'Africa". Questa nazione, dove è presente una significativa minoranza cristiana e si praticano ancora tradizionali riti animisti,  è nata nel 2011, grazie ad un referendum in cui la stragrande maggioranza della popolazione ha chiesto la separazione dal Nord Sudan, l'antica Nubia, prevalentemente arabo e islamico. Gli altri paesi confinanti sono Etiopia, Kenia, Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana. 

Nel 2012 però scoppiano scontri etnici violenti (con migliaia di morti e sfollati) che proseguono nel 2013. Così, due anni dopo l'indipendenza, divampa la guerra civile tra i sostenitori del presidente Salva Kiir, di etnia dinka, e quelli dell’ex vice presidente Riech Machar di etnia neur, cacciato dal governo.

I leader religiosi tuttavia, fin da subito, hanno denunciato la strumentalizzazione della questione etnica per scopi di potere: “Quello che è accaduto”, hanno scritto rivolgendosi all’opinione pubblica, “non deve essere descritto come un conflitto etnico. Vi sono piuttosto contrasti politici tra il Sudan People’s Liberation Movement e i leader politici del Sud Sudan”.
Ricco di petrolio, ma povero di risorse alimentari, il paese è in una situazione disperata, e il governo ha dichiarato nel febbraio scorso lo stato di carestia. Per sopravvivere la popolazione è costretta a mangiare i semi che invece dovrebbero garantire le coltivazioni future, a nutrirsi delle foglie degli alberi, a cercar rifugio presso i paesi confinanti.

Questa conferenza fa parte di un ciclo di incontri dal titolo "Artigiani di nuova speranza" organizzato dal Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) nell'ambito dell'Ottobre Missionario PIME 2017.
Seguono altre tre conferenze:
Mercoledì 11 0ttobre, padre Franco Mella, in dialogo con padre Gianni Criveller, per "FRONTIERA CINA: in prima linea per diritti umani e libertà"
Mercoledì 18 ottobre, suor Rosemary Nyirumbe per "CUCIRE LA SPERANZA. la suora che ridona dignità alle ex-bambine-soldato in Uganda" (St. Monica Girls Tailoring School, Gulu Eroe dell'anno CNN)
Infine mercoledì 25 ottobre concluderà il ciclo la SERATA SPECIALE LAICI E MISSIONE, con il messaggio di papa Francesco e alcune testimonianze.  

                OTTOBRE MISSIONARIO 2017: I MERCOLEDI' AL PIME 

ottobre2017

 «ARTIGIANI DI NUOVA SPERANZA» è il tema che farà da filo conduttore quest'anno alle serate del mercoledì che il Centro di animazione e cultura missionaria del Pime di Milano propone nella propria sede di via Mosé Bianchi 94 come momento di animazione dell'OTTOBRE MISSIONARIO 2017.

Questo il programma delle singole serate e i relatori:

Mercoledì 4 ottobre - ore 21 IL MIO SUD SUDAN IN AGONIA Guerra e pace nel Paese più giovane e martirizzato d’Africa -

PADRE DANIELE MOSCHETTI, Missionario comboniano a Juba 

Mercoledì 11 ottobre - ore 21 FRONTIERA CINA In prima linea per i diritti umani e le libertà

PADRE FRANCO MELLA, Missionario del Pime nella Grande Cina in dialogo con il confratello Gianni Criveller

Mercoledì 18 ottobre - ore 21 CUCIRE LA SPERANZA, La suora che riscatta e ridona dignità alle ex bambine-soldato in Uganda

SUOR ROSEMARY NYIRUMBE, St. Monica Girls Tailoring School, Gulu per ragazze schiavizzate dai ribelli. Eroe dell’anno CNN 

Mercoledì 25 ottobre - SERATA SPECIALE LAICI E MISSIONE
«Il coraggio e gli slanci del cuore a servizio dell’umanità» (Papa Francesco, messaggio Giornata missionaria 2017)

ore 18,00: S. Messa in ricordo di fratel Felice Tantardini
ore 19,30: apericena in condivisione presentazione Comitato Introbio
ore 21: testimonianze:
fratel Fabio Mussi Pime,
Antonella Marinoni Cml,
Alberto Malinverno Alp,
Eugenio Di Giovine, ufficio missionario Milano

 

2016 Festival del cinema africano a Milano

Giovedì, 31 Marzo 2016 10:15

   Il festival del cinema africano, d’Asia e America Latina (FCAAAL) inaugura la sua ventiseiesima edizione presso la sede della Triennale di Milano (sala del Teatro dell’Arte), nell’ambito della XXI Esposizione Internazionale di Milano. Dal 4 al 10 aprile saranno proiettate varie opere in altre sale cinematografiche: Auditorium San Fedele, Spazio Oberdan, Cinema Palestrina, Institut Français di Milano,Teatro dell’Arte della Triennale, Festival Center, Casello Ovest di Porta Venezia, Casa del pane.  Il FCAAAL è il primo e, per ora, unico festival italiano interamente rivolto alle cinematografie e alle culture dei tre continenti. All’Opening night del Festival, il 4 aprile, sarà proiettato in anteprima italiana l’ultimo film di Takeshi Kitano, Ryuzo and the Seven Henchmen (Ryuzo e i sette compari), una commedia con protagonisti sette anziani (ex yakuza, tradizionale organizzazione criminale giapponese suddivisa in vari gruppi) che decidono di rimettere insieme la “famiglia”. 

La programmazione (http://www.festivalcinemaafricano.org/new/il-festival-4/) darà rilievo a film “evento” mantenendo uno schema che vedrà fiction e documentari in un’unica sezione competitiva: il “Concorso Lungometraggi Finestre sul Mondo”. La Sezione Eventi Speciali “Flash” raccoglierà le importanti anteprime del Festival fuori-concorso. Inoltre la mostra fotografica Designing Africa 3.0 offrirà un’ampia selezione di fotografie dalla VI edizione del LagosPhoto Festival, il primo festival internazionale dedicato alle arti visuali e alla fotografia contemporanea in Nigeria. La mostra, curata dal direttore e fondatore di LagosPhoto Azu Nwagbogu e co-curata da Martina Olivetti dell’African Artists’ Foundation, sarà ospitata al Festival Center nel casello ovest di Porta Venezia. L’obiettivo?  Rappresentare l’Africa non più come scenario di guerre, fame e malattie, ma luogo di creazione artistica, innovazione e possibilità, e di comunicazione tra design contemporaneo e la sua più ancestrale tradizione.

 

 

 

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News

  • Kolowaré 1°

    Kolowaré 1°

    Da Padre Silvano Galli (conosciuto in Costa d'Avorio tanti anni fa) ricevo regolarmente le interessanti "cronache di Kolowaré" *. Questa volta pubblico quasi integralmente (in due puntate) il suo messaggio con relativa cronaca e foto.

    Hanno appena lasciato Kolowaré. Quattro dottoresse, una infermiera, due dentisti, e il capo gruppo dell’AVIAT, di cui il gruppo fa parte, il ginecologo Gianfranco Mirri. Tutti dell’Emilia Romagna. La loro presenza ha coinciso con l’operazione della cataratta per un centinaio di persone.

               

    Due dottoresse del gruppo hanno voluto anche fare un gesto molto concreto, oltre al loro lavoro di medico a Kolowaré e altrove. Hanno finanziato un “forage”, cioè una trivellazione, per un pozzo, con annessa pompa. E hanno potuto assistere alle varie fasi dei lavori. E il giorno dopo sono ritornati nel villaggio per una giornata di cure, di assistenza, di visite agli ammalati del villaggio e dintorni. Qualche nota e foto su questo dono che l’AVIAT, ancora una volta, ci ha fatto. (segue)

                       

    *Silvano Galli - Paroisse St Léon IX - Kolowaré

    300 - B.P. 36  SOKODE -TOGO

    1. 00.228. 90977530  (WhatsApp)
    2. www.split.it/noprofit/koloware

     

  • Lo Sciamano del legno antico

    Lo Sciamano del legno antico

    Arte africana? Solo la seconda foto! che ritrae alcune (tra le migliaia) opere d'arte africane raccolte ed esposte da Adolfo Bartolomucci nella sua galleria milanese*. La prima invece è arte alpina, della Val Gardena, dove la scultura lignea fa parte della tradizione secolare, e l'artista è Adolf Vallazza,  scultore di fama mondiale.  Nei due casi: arte o artigianato oppure entrambi? non ha importanza, il risultato è sempre qualcosa che evoca passato e presente, stupisce, emoziona, risveglia tutti i sensi. Protagonista è sempre il legno.

                      

    (foto Lucio Rosa)                                                                                  (foto Mila C.G.)

    L'artista africano sceglie il suo albero in funzione dell'oggetto da scolpire; così statua, maschera, feticcio, totem sarà il veicolo attraverso il quale gli spiriti, le divinità, gli antenati e le forze della natura si rendono presenti e visibili nello spazio umano. Gli oggetti di utilità quotidiana, quali spole per tessere, ciotole, sgabelli, sedie, alzatesta, strumenti per la cucina, sono fabbricati con molta cura. Per ogni settore della cultura esistono una serie di simboli e di stili specifici, compresi dalla comunità. 

    Anche l'artista alpino, "vive del legno, nel legno, parla con il legno...". Per questo il regista Lucio Rosa, bolzanese, gli ha dedicato il film** "Adolf Vallazza, sciamano del legno antico" presentandolo con queste parole: " Il bosco, silente e ordinato, i tronchi ravvicinati e umidi si sono affidati ad Adolf Vallazza. Un viaggio assorto e pieno di attese finisce nei linguaggi e nelle forme dell'uomo contemporaneo. L'artista non interroga la materia - che è già sua - ma il genio dei luoghi che l'ha generata. Con lui tesse il dialogo serrato che porta alle trasformazioni dei legni, programma i loro destini futuri e in loro soffia il suo spirito."

    Lo sciamano viene generalmente considerato come un guaritore e un mediatore tra il mondo conosciuto della realtà ordinaria e il mondo spirituale. L'arte di Adolf Vallazza può essere antropologicamente considerata sciamanica, perchè lavora legni antichissimi, a volte secolari, recuperati nelle case contadine delle sue valli: vengono dalle pareti delle stube, hanno visto la storia, passare tante generazioni e vicende, i vivi e i morti; sono corrosi, consumati, mangiati dalle tarme, con i segni delle scarpe chiodate dei contadini, che hanno camminato su di loro per anni e anni. Anche il colore varia a seconda della loro vita. Ci sono i legni grigi, i bluastri che hanno preso la pioggia, e quelli rossi, che sono bruciati dal sole. E' come un "viaggio" nel passato e in altre tradizioni la scultura in questi legni, che hanno vissuto e trasmettono "messaggi" dai mondi spirituali invisibili alla realtà. E poi ci sono le leggende nei paesi delle montagne, le Dolomiti; "anche se astratte, le  mie sculture, afferma Adolf, rispecchiano queste suggestioni. È il mio ambiente, la mia storia che mi ha dà l’ispirazione per la scultura. " 

    Il Maestro Adolf  Vallazza nasce nel 1924 ad Ortisei. Il padre è scultore in ferro; il nonno materno, Josef Moroder Lusenberg, è un pittore. Adolf fin da piccolo ama le arti e il disegno e  intaglia il legno. Negli anni quaranta e cinquanta inizia lavorare il legno dell'ulivo; per mantenere la famiglia e per passione diventa artigiano, con una ditta e sette operai. Crea statue per le Vie Crucis, crocifissi, sculture religiose della tradizione gardenese. Ma si ritaglia del tempo per studiare e fare ricerche, apre il suo studio di scultore ad Ortisei, e abbandona il legno dell'ulivo perchè lo considera di per sè già "un'opera d'arte della natura". Le prime sculture sono classiche, poi comincia a  sperimentare forme stilizzate e materiali nuovi, fino alle opere che l'hanno reso famoso, i Totem e i Troni. Ha quasi quarant’anni e infine può dedicarsi solo all’arte. Passa all'astratto, ispirato da Marino Marini, Henry Moore, e soprattutto dal grande Constantin Brâncuși, maestro per la sua semplicità, la capacità di ridurre i volumi, l’iconografia delle “colonne”. Sono gli anni '60; inizia ad allestire le sue prime mostre personali in Italia e all'estero. Nel 1968 cominciano a frequentare il suo studio d'artista importanti critici milanesi, come Marussi, Budigna e Mascherpa.

                                          

    (foto Lucio Rosa)                                                                                                      (foto Mila C.G.)

    Di sè racconta: "Sono un uomo che ha vissuto il scorso secolo, un novecentesco. Ho cominciato con la figurazione ... quello deve essere il punto di partenza. Non si può cominciare dall’astratto, l’astrazione si raggiunge in un secondo momento. Ancora oggi, in questi vecchi legni, faccio delle figure. Il figurativo è importante perché insegna il “mestiere”. Molti iniziano con l’astratto, e per me è impossibile, il corpo umano lo devi conoscere, devi entrare in possesso dell’anatomia, conoscere le forme…  Il materiale va capito e sentito."

     *African Art Gallery di Bartolomucci Adolfo - Via Caterina da Forlì, 28 - 20146 Milano Italy.

    **Titolo originale: Adolf Vallazza. Sciamano del Legno Antico Regia: Lucio Rosa  Anno di produzion2019 Tipologia:documentario  Genere: arte/biografico  Paese: Italia  Produzione: Studio Film TV      Formato di ripresa: Full HD 16:9Formato di proiezione: Full HD 16:9, bianco/nero Sito Web: http://www.studiofilmtv.it/film.asp?id=43&l=it  Durata: 40'

  • Notizie dal Niger (maggio 2017)

    Notizie dal Niger (maggio 2017)

    L' ASSOCIAZIONE TRANSAFRICA SVILUPPO* di Firenze ci invia notizie ricevute da Aboubacar, responsabile del Foyer d'accueil  ILMI di Niamey, uno dei progetti in cui Transafrica è impegnata da anni con i fondi raccolti grazie a eventi culturali, donazioni e 5x1000. Questa casa di accoglienza, aperta nel 2012, promuove la scolarizzazione dalle medie al liceo di giovani dei due sessi tra i 14 e i 20 anni, provenienti principalmente da una località a est di Agadez, Tchintaborak.  
    I giovani accolti nella casa, a condizioni accettabili per vitto e alloggio, ricevono anche vestiario e forniture scolastiche, e sono seguiti negli studi da un tutore.  
    Dopo una breve descrizione anche fotografica della vita e delle attività del Foyer, Aboubacar si presenta con queste parole:
     
    "Gérant du foyer d'accueil ILMI, il est l'âme de ce projet. Depuis la création du foyer en 2012, Aboubacar parcourt la France et l'Europe, pour tisser des liens avec des associations et des ami(e)s qu'il a rencontré soit au Niger, soit en France ou en Italie.
    Infatigable, chaque année, il part avec son sac de bijoux et d'artisanat réalisés par les artisans de la Coopérative Tafolt, dont il est le secrétaire, et dont une partie des ventes sert à financer le foyer d'accueil. Enfant d'une famille nomade, la vie a fait qu'il a eu la chance d'aller à l'école, il a bien compris l'importance aujourd'hui de la scolarisation des enfants pour le développement des zones nomades, où la vie est très difficile.
    Aboubacar parle français, il sait écrire et se servir d'un PC pour envoyer des mails ou se connecter à Facebook. Lorsqu'il n'est pas à Niamey pour s'occuper du foyer, il parcourt aujourd'hui son pays dans les zones où la "folie de l'or" fait rage : avec curiosité, il filme, photographie, interroge les orpailleurs : un travail de recherche qui le fait devenir conférencier pour des amis chercheurs et géographes.
    Sur sa route en France, grâce au covoiturage, il croise Guillaume Gendron un journaliste; de cette rencontre naitra un article paru dans le journal Libération, puis une interview dans une émission sur Arte. Mais au milieu de toutes les multiples activités qu'il développe, son principal objectif c'est bien le foyer, les enfants à scolariser, le rôle qu'il s'est donné, humblement, pour son passage sur terre. Une vie de nomade, toujours, ancrée dans son époque malgré les difficultés, les obstacles et les frontières à franchir.
    Une vie qu'un jour, qui sait, il écrira lui même sur le papier."

    *Associazione di solidarieta' internazionale per il volontariato nella cooperazione partenaria allo Sviluppo Umano nel Nord e nel Sud del Mondo
    Via Fiume, 11 - I-50123 FIRENZE
    Tel: +39-055-430420 +39-348-3973603
    Fax: +39-055-430420
    Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. 
    Web: http://www.associazionetransafrica.org 
  • Monti Nuba, la resistenza di un popolo (Verona, martedì 3/5/2016)

    Monti Nuba, la resistenza di un popolo (Verona, martedì 3/5/2016)

                          In un’area grande più dell’Austria vive il popolo dei Nuba, circa un milione di abitanti, senza pace.
    Al "Martedì del mondo" del 3 maggio (organizzato dalla rivista Nigrizia) si è parlato della guerra che si sta combattendo da anni nella regione dei Monti Nuba, nello stato sudanese del Sud Kordofan. La serata, moderata da Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia, è iniziata con la proiezione di un documentario A scuola sotto le bombe (20’), realizzato lo scorso dicembre nei Monti Nuba da Francesco Cavalli, vicepresidente dell’organizzazione non profit Amani, e da Matteo Osanna, video maker. I due testimoni hanno spiegato la situazione che hanno trovato sul terreno e perché. Infatti, nonostante tutto, la popolazione nuba (musulmani e cristiani) è decisa a mantenere efficiente il proprio sistema scolastico. Come ha affermato in una recente intervista pubblicata su Nigrizia il vice-governatore dei Monti Nuba, Suleiman Jabuna Mohamed, per i Nuba l’educazione è il modo per affermare il diritto alla salvaguardia della propria diversità culturale e sociale, mentre "il governo di Khartoum usa l’islam come strumento di potere per dominare l’insieme dei popoli sudanesi", attuando una politica di emarginazione, sfruttamento e persecuzione etnica e bombardando con i caccia Mig e Antonov.
    A contrapporsi alla truppe governative sono le milizie dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan/Nord (Spla-N).
     
    Il conflitto nel Sud Kordofan è iniziato nel 1983, quando le popolazioni si schierarono con il movimento di liberazione Spla che si batteva per l’indipendenza da Khartoum. Nel 2005 si è arrivati a un accordo di pace che prevedeva il referendum di autodeterminazione degli stati del sud del paese, e nel luglio del 2011 è nato un nuovo stato: il Sud Sudan. Ma la posizione di tre regioni di confine con il Nord del Sudan – Sud Kordofan, Nilo Azzurro e Abyei – non è stata chiarita, e i tre stati che si erano battuti contro il regime sono rimasti sotto la sovranità di Khartoum. Di qui la ripresa delle ostilità.
    . 

    I Martedì del mondo sono un ciclo di incontri (ottobre-giugno), che si tengono di norma il primo martedì di ogni mese, organizzati da Fondazione Nigrizia, dal Centro missionario diocesano, dalla rivista Combonifem e dal Cestim - Centro studi immigrazione.

     (Fonte: Missionari Comboniani - Vicolo Pozzo 1 - 37129 - Verona - Italia www.fondazionenigrizia.it -  www.nigrizia.it )

     

  • UN MISURATORE SOLARE PREISTORICO

    UN MISURATORE SOLARE PREISTORICO

    L’archeologa  Mercedes Versaci (Gruppo PAID HUM-812 del dipartimento di Preistoria dell’ Università di Cadice) ha scoperto – in  una grotta della Sierra della Plata, punta meridionale della penisola iberica vicino a Gibilterra - una pittura rupestre che funge da indicatore solare. Una scoperta finora unica in Spagna. Stava preparando una tesi (dal titolo “El sol, símbolo de continuidad y permanencia: un estudio multidiscilpinar sobre la figura soliforme en el arte esquemático de la provincia de Cádiz”) nella zona intorno alla laguna de La Janda, (oggi a secco) nel comune di Tarifa, dove sono stati registrati circa trecento rifugi preistorici con pitture rupestri. In ventidue di essi  appare una figura a forma di sole.

    Ma nella Cueva del Sol (una piccolissima grotta di difficile accesso ma molto visibile) la studiosa ha scoperto un disco di 24 centimetri, geometricamente perfetto, con dodici raggi orientati verso il calar del sole. E l’unico raggio  dipinto coincide con  l’ultimo filo di luce del crepuscolo del solstizio d’ inverno. Quindi una specie di calendario agricolo per sapere quando le giornate avrebbero iniziato ad allungarsi e seminare, quando le piante sarebbero cresciute insieme al sorgere del sole più presto ogni giorno, quando ci sarebbe stato il raccolto, quando la terra avrebbe avuto un periodo di riposo. E questo ciclo si sarebbe compiuto al successivo solstizio d’inverno per ricominciare. Quindi una concezione del tempo circolare e una pittura rupestre risalente molto probabilmente alla preistoria recente, quando l’uomo già praticava l’agricoltura. Infatti le piante sono rappresentate in altre grotte con figure ramiformi e associate a idoli per rituali magici.

                               

    Fonte: europasur.es | 22.01.2017 - Red Española de Historia y Arqueologia

     

     

     

  • Dromedari in carovana: ottomila anni?

    Dromedari in carovana: ottomila anni?

    Sono stati scoperti, per caso e recentemente, nel nord dell'Arabia Saudita, provincia di Jawf, tre promontori di arenaria rosa che ospitano dei bassorilievi in forma di animali in grandezza naturale. Bellissimi. Sono stati studiati per la prima volta nel 2016 e 2017 dagli archeologi sauditi e dall'équipe di Guillaume Charloux, del laboratorio Orient et Méditerranée, che ne hanno inizialmente  attribuito l'origine ai Nabatei (la cui cultura è geograficamente molto vicina). Non alle antiche tribù locali, anche se non è molto lontana l'oasi di Dùmat al-Jandakl, antico centro delle vie carovaniere, ormai in rovina. In effetti lo stile di questi dromedari si discosta "dalla tradizione della rappresentazione regionale, più schematica e in due dimensioni", ma si avvicina esteticamente alla famosa carovana scolpita nella città antica di Petra, in Giordania, dove i camelidi in fila sbucano di fronte al monumento funerario di Al-Khazneh.


    Quindi la prima datazione colloca l'origine del Camel Site nell'Antichità, tra il primo secolo a.C. e il primo secolo d.C. Tuttavia Maria Gaugnin, esperta di arte parietale dell'università di Oxford, che ha studiato il sito nel 2018 insieme ad archeologi del Max Planck Institute, ritiene  che questi animali (una dozzina di  camelidi e due animali che potrebbero essere asini, muli, cavalli) potrebbero essere molto più antichi. Forse le più antiche incisioni rupestri al mondo!

    Studiando il materiale litico presente sul sito, dove sono assenti tracce o vestigia più recenti, l'archeologa pensa che le sculture siano state eseguite 6500 anni prima di Cristo (quindi 6400 anni prima dei Nabatei), nel Neolitico. Anche l'analisi chimica delle incisioni e un esame dei segni degli strumenti litici trovati nel sito conferma la datazione: i dromedari non sono stati scolpiti con utensili in metallo, ma in pietra! Non sono stati rinvenuti infatti martelli, picconi o qualsiasi altra prova di insediamenti umani nella zona.

    Questa roccia clastica sedimentaria (dovuta alla cementazione, in periodi e strati diversi, di sabbie silicee, caolino e minerali contenenti  calcio, sodio, potassio e ossidi di ferro, da cui il colore rosa-rosso) è fragile. Infatti queste sculture oggi appaiono su uno strato di pietra della falesia profondamente eroso, e purtroppo molti pannelli di roccia sono caduti. Alcune figure sono incomplete, altre in parte distrutte. Possiamo solo immaginare come poteva essere il sito originale, che comprendeva camelidi ed equidi in grandezza naturale, spesso molto vicini, e scolpiti su due o tre strati uno sopra l'altro.

    La vicinanza alle rotte carovaniere fa pensare ad un luogo di sosta nel deserto, o di culto per venerare il sacro camelide "dono del cielo". Alcuni dei dromedari raffigurati nei rilievi hanno colli particolarmente sporgenti e ventri rotondi, caratteristiche tipiche degli animali durante la stagione degli amori. Era forse un sito legato alla fertilità o a un periodo specifico dell'anno, quando la comunità araba, composta da gruppi nomadi e dispersa in vari accampamenti nel vasto deserto, si riuniva a date fisse per celebrare nozze, scambiare informazioni o  merce, celebrare riti. Ma si ipotizza che possa essere anche stato, in tempi più recenti, un "segno di confine" fra proprietà.

    Così i Sauditi possono essere orgogliosi di un sito millenario, più antico delle piramidi egizie, e sintesi della cultura beduina che sarà, millenni più tardi, culla dell'Islam. Il Camel Site andrà a completare l'esposizione di bellezze antiche e sviluppo tecnologico prevista dal piano di sviluppo "Vision 2030", voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman per affrancare il regno dal petrolio. Asia News conferma che il Fondo Saudita di Sviluppo del Turismo (Tdf) ha appena firmato un accordo con il tour operator Seera Group. Resort di lusso da 200 appartamenti, ristoranti, negozi: il regno wahhabita non sarà più soltanto meta di pellegrinaggio religioso per i fedeli islamici, ma di vacanze miliardarie con la costruzione di una città futuristica sul mar Rosso, con riserva naturale, barriere coralline e siti archeologici. Si pensa anche al turismo nelle grotte calcaree, con un solo motto "non lasciare tracce, solo fotografie"

     

  • Segreti nella valle dell'Omo, i popoli

    Segreti nella valle dell'Omo, i popoli

    Valle Dell’Omo 2°

    La valle inferiore del fiume Omo è una regione dalla bellezza misteriosa, con ecosistemi estremamente differenti: rilievi vulcanici, valli e  corsi d’acqua, paludi, praterie e una delle rare foreste vergini primarie dell’Africa semi-arida che danno vita ad una importante biodiversità.  Flora, fauna e gruppi etnici diversi di grande interesse antropologico, intimamente legati alla natura, e solo parzialmente "contattati”. La vita di queste popolazioni è scandita dalle piogge, dalle alluvioni del fiume, dalla transumanza per sfuggire alle punture della mosca tzè-tzè, dalla semina e dal raccolto, dai riti legati alle varie fasi della vita, dai conflitti. Le nuove divisioni amministrative contano nella regione dell'Omo ben 45 gruppi di popoli. Ci sono differenze notevoli, ma anche somiglianze legate a incroci e matrimoni, scambi e commerci, mescolanze e contaminazioni, alleanze e rivalità.

     

     . Lucio Rosa nella Valle dell'Omo, presso l'etnia Hamer

     

     “È un’Africa profonda, quel­la della bassa valle dell’O­mo, scrive su Archeologia Viva, la rivista di Piero Pruneti, il regista Lucio Rosa (che voleva girare il film Lontano, lungo il fiume – l’anima originaria delle tribù dell’Omo, già

    sceneggiato). Qui esistono ancora dei luoghi che conservano, in una dimensione senza tempo, un incredibile mosaico di razze ed etnie, vive tracce di antiche tradizioni, una commistione tra le radici dell’uomo e la na­tura. Per avvicinarsi a

    questo mondo, cercare di comprende­re l’anima originaria delle tribù che ci vivono, dobbiamo ab­bandonare le nostre certezze e ogni pregiudizio occidentale. Allora potremo cogliere la ric­chezza di un mondo da noi co­sì distante e conoscere

    l’Africa autentica, l’anima originaria di genti “lontane”. Nel nostro im­maginario spesso ci avvicinia­mo a questi popoli pensando fondamentalmente che siano dei primitivi, “selvaggi” – come si diceva una volta e come ora non si dice più per

    pudore ver­so noi stessi – a cui dovremmo insegnare come si vivere sul pianeta … Nel contesto del XXI secolo, dove il nostro apparato economico sta distruggendo interi ecosistemi a un ritmo mai visto, da queste popolazio­ni di pastori

    nomadi come i Ka­ro, i Mursi, gli Hamer, i Daasa­nach, che ancora vivono un’e­sistenza non ancora del tutto contaminata dall’uomo occi­dentale, avremmo molto da imparare, soprattutto dalla lo­ro profonda umanità. Diciamolo chiaro: stiamo

    per­correndo velocemente le strade che porteranno alla distruzio­ne delle culture di quella che fu la culla dell’umanità.“

     

    In effetti, nei giacimenti paleontologici della valle, testimoni del Pliocene e del Pleistocene, sono stati scoperti scheletri di Australopithecus, i crani di Homo sapiens Omo1 e Omo2, ossa di Paranthropus aetiopicus o Australopithecus robustus, un ominide estinto vissuto fra i 2,3 e gli 1,2 milioni di anni fa.

    Ma questa valle non è solo la culla genetica dell’Uomo, ma anche quella culturale, che ci riporta alle origini della società e della civiltà. Cacciatori, raccoglitori, guerrieri, pescatori, pastori, apicoltori, agricoltori, artigiani: sono molti i popoli che vivono lungo l’ Omo o nelle regioni adiacenti, quando il fiume, dopo un cammino accidentato attraverso l’altopiano etiopico, forma ampi meandri in un paesaggio pianeggiante. Il suo corso è stato esplorato in due missioni, dal 1887 al 1997, dal luogotenente d’artiglieria Vittorio  Bottego; le spedizioni erano finanziate dal governo italiano, che, già installato in Eritrea, cercava un ruolo coloniale in Africa come le altre nazioni europee. Bottego ha incontrato, non sempre in modo pacifico, molte di queste etnie.

    Le popolazioni dell’Omo hanno sviluppato da secoli pratiche socio-economiche complesse in funzione delle condizioni ambientali difficili di questa regione semiarida. Oltre alla coltivazione pluviale itinerante, la piena annuale del fiume garantisce un’agricoltura legata alle periodiche inondazioni seguite dal ritiro delle acque. Si produce sorgho, mais, fagioli, patate, banane, caffè e cotone. Dal bestiame (zebù, vacche, ovini, oche …) si ricava carne, latte, sangue, cuoio. Costituisce un capitale di riserva in caso di carestia per la siccità, e viene usato per pagare la dote della sposa. Alcune  tribù (Bodi, che cantano poemi per far prosperare le mandrie, Daasanach, Karo, Mursi, Kwegu, Nyangatom) vivono lungo le rive dell’Omo e ne dipendono completamente. I villaggi di Hamar,  Chai,  Turkana sono più lontani, ma una rete di alleanze interetniche consente loro l’accesso alle pianure inondate, soprattutto in  assenza di precipitazioni. Eppure tra queste tribù scoppiano spesso conflitti, che l’introduzione delle armi da fuoco ha reso più pericolosi. Negli anni settanta anche sulle rive dell'Omo sono apparsi i Kalashnikov, insanguinando gli scontri frequenti anche a causa della competizione per le risorse sempre più rare. Infatti i nativi da anni subiscono la perdita progressiva delle loro terre. Prima la creazione dei due parchi nazionali negli anni 1960 e 1970. Poi negli anni 1980 una parte del territorio è stata trasformata in azienda statale irrigata. In seguito una parte importante delle terre ancestrali è stata concessa a multinazionali o trasformata per la produzione di agro-carburanti. Infine, con  la costruzione delle dighe sul fiume Omo  (Gilgel Gibe I, II, III) e di altre due in programma, i popoli dell’Omo diventeranno profughi ambientali. 

    L’abbassamento del livello del lago Turkana (20 metri in un secolo, con un rialzo di 4-5 metri negli anni sessanta), ha già costretto a migrare i Galeb, riconoscibili per i capelli impastati di cenere e ocra e adornati con belle piume di struzzo. La siccità ha spinto i Mursi, dentro i confini del Mago Park (parco naturale), innescando inevitabili scontri con i Bodi e con i Karo. I Karo e i Mursi hanno i volti e il corpo affrescati con ocra, calce bianca, polvere di ferro e brace di carbone e di legno, o altri minerali colorati (giallo, rosso, blu); si scarificano la pelle e si provocano rigonfiamenti con acqua e cenere. I Mursi si adornano con piume e ossa, e le giovani donne inseriscono un piattino di legno o di argilla nel labbro inferiore  ai lobi dell’orecchio; dopo aver fatto una piccola incisione, sostituiscono dischi di grandezza crescente per espandere il labbro. Si crede che un tempo servisse a scoraggiare il rapimento delle donne da parte degli schiavisti. Gli Hamer vivono nelle savane a occidente del lago Chew Bahir, il lago del sale, in una zona selvaggia circondata da paludi e aride savane. Le loro danze rituali sono sensuali: celebrano i matrimoni, il raccolto, le iniziazioni dei giovani. Le donne Surma invece portano degli anelli ai lobi delle orecchie e sulle labbra prima di sposarsi. I Borana sono pastori seminomadi di buoi, vacche e zebù, e si considerano l’etnia primigenia del gruppo Oromo. Sono orgogliosi e bellicosi; l’assassino borana si fa crescere un lungo e solitario ciuffo di cappelli, e chi non ha ucciso nessuno non è degno di sposarsi. Si spostano, con le mandrie e le capanne di canne,  tra le terre dei Konso e il bacino del fiume Giuba, verso il Kenia.. I Konso vivono fra le colline a sud del lago Chamo. Popolo di agricoltori sedentari di origine cuscitica (substrato etnico più antico dell'Etiopia e delle regioni nordorientali del Sudan), sono bravi musicisti, coltivano con grande cura e abilità i prodotti  locali che vendono o scambiano in grandi mercati, punto d’incontro con popoli di pastori. Nei loro campi terrazzati si innalzano piccoli totem, i Waga, legati al culto degli antenati di cui raffigurano la vita, la storia, il passato.

    Ogni etnia ha le sue peculiarità, ma dappertutto si pratica la religione animista, la poligamia, il potere assoluto dei maschi, le scarificazioni corporali, la nudità, o al massimo un telo intorno ai fianchi. E la comunicazione avviene principalmente attraverso i corpi: abbelliti, incisi, cicatrizzati, adornati con oggetti diversissimi, dipinti e colorati, acconciati con pettinature fantasiose, ciuffi su cranio rasato, trecce,  riccioli. Servono a comunicare, a identificare il clan o gruppo, a esprimere personalità e sentimenti: fiducia, seduzione o paura, affetto, coraggio, aggressività, senza la mediazione della parola. (Mila C.G.)

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  • Stop allo sviluppo ecocida?

    Stop allo sviluppo ecocida?

    Se tutti conoscono il significato della parola ecologia (dal greco casa, ambiente e discorso, studio), delle sue branche scientifiche e dei vari termini derivati, l’ecocidio può apparire misterioso. Anche perché tra i primi significati su internet si trova un concetto minaccioso (espresso da Jeremy Rifkin nel suo saggio omonimo): “ascesa e caduta della cultura della carne”. In realtà ecocidio significa distruzione dell’ambiente naturale, danno ambientale esteso. E Rifkin, partendo dalla sacralizzazione dei sacrifici umani e animali, basandosi su dati antropologici, ecologici, economici, afferma che l’evoluzione del consumo della carne nei paesi occidentali industrializzati porta malattie, enormi squilibri ambientali, spreco di grandi quantità di cereali, aumento di povertà e fame nei paesi del terzo mondo. Anzi, studiando in particolare l’evoluzione della geografia agricola della Francia, ritiene che la propensione ecocida della popolazioni rurali prima della Rivoluzione Francese abbia coinciso che la prima ondata sconsiderata dell’industrializzazione moderna

    . Siccità in Somalia (foto Attilio Gaudio, circa 1960)

    Di modello di sviluppo ecocida si parlerà martedì 07 febbraio 2017 a Verona (Nigrizia, Sala Africa dei Missionari Comboniani, Vicolo Pozzo 1 – ore 20,30). Ad affrontare il tema sarà Stefano Squarcina, esperto di politiche ambientali e di cooperazione allo sviluppo, in particolare con l’Africa. Le attività economiche umane rappresentano sempre più un pericolo per la sopravvivenza dei viventi e del pianeta stesso. E’ urgente mettere in pratica le misure sottoscritte da oltre 190 paesi dell’ONU negli accordi di Parigi nel 2015. In precedenza, infatti, lo Statuto di Roma (Art.8, 2b, iv) della Corte penale internazionale (firmato nel 1998, entrato in vigore nel 2002 e modificato nel 2010) non aveva incluso l’ecocidio tra i “crimini internazionali contro la pace” insieme al genocidio; si erano opposti Regno Unito, Usa e Paesi Bassi. I danni “diffusi, duraturi e gravi all’ambiente naturale” erano stati inseriti tra i crimini di guerra. Quindi l’ecocidio sarebbe un crimine in tempo di guerra ma non in tempi di pace.

    Ma i rifugiati climatici nel mondo sono ormai più di 180 milioni. Deforestazione, siccità, distruzione delle zone umide, erosione dei suoli e conseguente ulteriore impoverimento delle popolazioni hanno raggiunto in Africa dei livelli di criticità mai conosciuti nella storia dell’umanità. Durante l’incontro di Nigrizia verranno discusse misure per combattere il “debito climatico”, azioni a favore della “giustizia climatica” (ad esempio riorientamento della fiscalità a fini climatici o transizione energetica), nuove forme e meccanismi di finanziamento della politica di cooperazione internazionale, soprattutto europea, verso l’Africa e altre aree del pianeta. Occorre ripensare le politiche di intervento nei paesi impoveriti, favorire un’agricoltura sostenibile, la decarbonizzazione dell’economia, la protezione e democratizzazione dell’uso delle risorse idriche potabili e non, la lotta alle emissioni di gas ad effetto-serra, alla deforestazione, ecc... Il problema non presenta solo aspetti climatici, politici e macroeconomici, ma anche etici e sociali a tutti i livelli, come il land grabbing (acquisizione su larga scala di terreni agricoli soprattutto in paesi in via di sviluppo) la costruzione di grandi dighe, lo spostamento di grandi masse di popolazione, l’esproprio di aree tribali o di piccoli appezzamenti preziosi l’autosufficienza alimentare, la dipendenza dalle sementi ogm, le estese monoculture per la produzione di materie prime o biocarburante per i paesi ricchi, la delocalizzazione delle grandi industrie, persino i parchi nazionali con ambigua protezione di flora e faura ma con bracconaggio commerciale e privazione dei diritti di caccia tradizionali dei nativi … infine la globalizzazione.

  • Scoperti utensili paleolitici in India

    Scoperti utensili paleolitici in India

    I risultati dei lavori di un'équipe britannica (pubblicati sul quotidiano online The Independent) sembrano aggiungere nuove ipotesi alle teorie sull'evoluzione umana.

    Nel sito archeologico di Attirampakkam, nel sud-est dell'India (60 km da Chennai, Tamil Nadu) sono stati scoperti strumenti antichi di almeno 385.000 anni, epoca che coincide con il periodo in cui questa tecnologia sarebbe stata utilizzata per la prima volta dall'uomo moderno in Africa. Finora si pensava invece che L'India avesse conosciuto questa tecnica tra 140.000 e 46.000 anni anni fa, con la migrazione dall'Africa dell'uomo moderno. Questa scoperta anticiperebbe questa migrazione dall'Africa verso l'Asia ad almeno 400.000 anni fa; sarebbe quindi più antica di quanto si pensava? Oppure gli ominidi indiani di quell'epoca hanno sviluppato una propria cultura del Paleolitico Medio? E ancora: si tratta di uomini moderni o di Neandertaliani o di altre specie arcaiche?

      Rimangono quindi molti interrogativi, soprattutto  per la mancanza di resti umani associati alle scoperte. Anche perché in passato si era parlato di utensili di un milione e mezzo di anni! 

  • Etiopia 2020: acqua e fuoco (2)

    Etiopia 2020: acqua e fuoco (2)

     

    DIGA SUL NILO AZZURRO - Il riempimento e' iniziato

         

    Cascate del Nilo Azzurro dopo l'uscita dal lago Tana (Foto MGC, 2012)   Queste Cascate, conosciute come Tis Issat o Tissisat in amarico (acqua fumante) sono situate nella prima parte del corso del fiume, circa 30 km dalla cittadina di Bahar Dar e dal Lago Tana.

    E' in costruzione avanzata in Etiopia, nello stato di Benishangul-Gumuz, a circa quindici chilometri a est del confine con il Sudan la diga “Grand Ethiopian Renaissance Dam” o GERD (in amarico : ህዳሴ ግድብ) sul le Nilo Azzurro. Anzi, è iniziato questa estate lo riempimento nonostante l'assenza di accordi con gli stati confinanti. Immagini satellitari catturate tra il 27 giugno e il 12 luglio 2020 ritraggono l'incremento dell'acqua nel bacino a monte della grande diga, come del resto ha dichiarato il ministro delle Risorse Idriche, dell'Irrigazione e dell' Energia etiopico, Sileshi Bekele. Quello della diga è un progetto da circa 5 miliardi di dollari che, una volta ultimato, darà luogo alla centrale idroelettrica più grande dell'Africa, pari solo a quella di Inga, sul fiume Congo, nel Congo Kinshasa (che funziona però al 10/15 per cento della sua capacità). Chiamata anche Grande Diga del Millennio, o diga di Hidase, questa diga etiopica a gravità avrà una potenza installata di 6.450 MW, l’equivalente di sei reattori nucleari.        

    Il Nilo Azzurro (in arabo Baḥr al-Azraq), dalle acque limpide in contrasto con il Nilo Bianco, ha origine dall'Altopiano Etiopico di origine vulcanica, presso il lago Tana. Mentre il Nilo Bianco (con cui confluisce a Khartoum in Sudan, formando il Nilo) ha una portata quasi costante nel tempo, il Nilo Azzurro è caratterizzato da un regime irregolare, alla base delle piene fluviali annuali che hanno segnato la storia dell’Egitto fin dall’antichità. La costruzione e la messa in funzionamento di questa diga hanno quindi alterato degli equilibri millenari e minacciano la stabilità tra i paesi che sfruttano le acque del fiume. Il particolare l'Egitto, la cui vita continua ad essere legata al fusso e deflusso del Nilo.

    Il progetto, già auspicato dall'ultimo imperatore d'Etiopia Hailé Selassié, e approvato una decina di anni fa dall'allora premier Meles Zenawi (che ha posto la prima pietra il 2 aprile 2011), ha subìto ritardi per lo scandalo che ha coinvolto Metec (industria etiope di armi, attrezzature militari e macchinari fondata nel 2010). Il paese ha bisogno di energia pulita, eventualmente da esportare, per diversificare la sua economia prevalentemente agricola, compromessa dalla siccità, e attualmente anche dalle migrazioni delle locuste.  I lavori, iniziati cinque anni fa, sono stati realizzati principalmente dall’italiana Salini Impregilo (senza gara d'appalto), che ha collaborato anche ad altri lavori idroelettrici in Etiopia, e specialmente alle dighe sul fiume Omo, nel sud.

         

    Il Nilo Azzurro a qualche km dalle cascate (foto MCG, 2012)

    I lavori sono stati eseguiti su entrambi i lati del fiume, che è stato deviato durante la stagione secca mediante canali sotterranei o tubature per consentire la costruzione dello sbarramento. Il fiume così scorre nei canali di derivazione ai lati del muro. Durante la stagione delle piogge, l'acqua in eccesso, che non può defluire nei canali, si aggiungerà al lago che va formandosi dietro la diga. Eventualmente saranno chiuse le valvole a barriera di alcuni canali per aumentare il livelli dell'acqua a monte. Come riportato sul sito di Salini Impregilo, una volta terminati i lavori, il  bacino avrà una lunghezza di 1,8 chilometri e una profondità di 155 metri, con una capienza di circa 74 miliardi di metri cubi d’acqua, che saranno sfruttati per produrre almeno seimila megawatt di energia elettrica. Il gettito annuo del Nilo Azzurro è di 49 miliardi metri cubi.

    L’opera è stata autofinanziata, mentre in passato la Banca Mondiale e altre strutture internazionali avevano rifiutato, per non innescare tensioni con i vicini Sudan e soprattutto Egitto (i trattati internazionale del 1929 e 1959 avevano stabilito che i volumi d’acqua del Nilo dovevano essere divisi tra Egitto e Sudan). Etiopia, Egitto e Sudan avevano anche stipulato un accordo sulla creazione di un comitato scientifico, incaricato di studiare l’impatto della diga. Gli esperti avevano consigliato che, una volta ultimato lo sbarramento, durante la fase di riempimento (si calcola che ci vorranno non meno di tre anni) l’Etiopia avrebbe dovuto consentire la prosecuzione di un gettito d’acqua pari a 35 miliardi metri cubi, mentre l’Egitto ne pretende 40. Tuttavia l'Etiopia negli scorsi mesi ha annunciato la volontà di portare a conclusione il progetto, anche senza un accordo con Egitto e Sudan. Una decisione che ha indotto l’amministrazione Trump a bloccare i fondi, ma in soccorso del primo  ministro Abiy Ahmed è intervenuta la Cina.

    Tuttavia, appena ripresi i colloqui sulla spartizione delle acque del Nilo, i due paesi hanno espresso opinioni ancora divergenti (Il Cairo del resto ha sempre espresso perplessità sulla GERD, temendo un'eccessiva riduzione della portata del Nilo). Si prevedono trattative a ripartire da zero per gli scienziati e i politici, con l’intento di creare una reazione a catena, e trovare un accordo con i Paesi coinvolti per un equo sfruttamento delle risorse idriche del Nilo, sia durante la fase di riempimento, già iniziata, che a regime.

          

    Lago Tana - Bahir Dar (Foto MCG, 2012) - Al tramonto - un pescatore , turisti -

    Il Nilo Azzurro nasce a Gish Abbai, un luogo sacro per la Chiesa etiope, con tre piccole sorgenti nel raggio di 20 metri, a 2 744 metri di altezza.  Il primo europeo a visitare il luogo fu il missionario cattolico spagnolo nel 1618. (vi sorge un venerato santuario). Questa sorgente si versa col nome di Lesser Abbai nel lago Tana.

     

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  • Slovenia: mandibola misteriosa

    Slovenia: mandibola misteriosa

    Mandibola di Mala Balanitza (Journal of Human Evolution- Mirjana Roksandic). Questa mandibola umana può far luce sul processo evolutivo della nostra specie nel Sud Europa durante l' era glaciale. La comunicazione è stata fatta un anno fa durante il primo congresso della Società Europea di Evoluzione Umana celebrato a Lipsia, ma gli studiosi sono stati a lungo incerti sulla datazione del reperto. La mandibola è stata scoperta in una delle numerose grotte carsiche del complesso di Mala Balanica (Balanitza), insieme a macro e micro-vertebrati ed una industria litica di tipo Modo 3 (o tecnica di Levallois, per cui le schegge ricavate dal nucleo della pietra non vengono scartate, ma lavorate e riutilizzate per usi specifici), il che può essere compatibile con il periodo musteriano dei Neanderthal (Paleolitico medio). Tuttavia le caratteristiche anatomiche del reperto umano si discostano molto dal tipo neandertaliano. Inoltre la radiodatazione con il metodo dell'uranio-torio indica 400-500.000 anni, mentre inizialmente si pensava circa 150.000 anni; quindi saranno necessarie nuove ricerche.

    Tuttavia, se la datazione iniziale fosse corretta (fine del Pleistocene Medio o Ioniano, intorno a 165.000 anni) la mandibila potrebbe appartenere ad un individuo di una di quelle popolazioni dalle caratteristiche primitive che erano già radicate in Europa, ma che, all'arrivo dei Neanderthal, corsero a rifugiarsi a sud nella penicola balcanica, senza incontrarsi con i nuovi colonizzatori per forse un millennio.

  • L'Africa che scompare: i Pigmei Babinga

    L'Africa che scompare: i Pigmei Babinga

       (foto L.Rosa) 

    "Addio BaBinga, piccoli uomini della foresta": così s'intitola il nuovo lavoro di Lucio Rosa con la moglie Anna.

    Regista, documentarista, giornalista, fotografo, Rosa ha raccolto e commentato le sue storiche foto-documento in bianco e nero scattate trent'anni fa nella Repubblica Popolare del Congo, Africa Equatoriale.  Foto che saranno oggetto di una mostra  programmata per fine estate a Bolzano. Inaugurazione il 9 o 10 settembre 2019 in via Orazio, Espace La Stanza, dove l'anno scorso (febbraio 2018) si era tenuta un' altra mostra fotografica dal titolo "Antiche architetture berbere. Lybia by Lucio Rosa".  Anche qui foto sempre (o quasi) in bianco e nero, che per Lucio "è il colore base della fotografia. Soprattutto certe foto, devono essere fatte di luci e ombre, più che di colori".

    In Libia questo artista della luce ha "catturato architetture incredibili, soprattutto a Ghadames", dove ha girato anche un film dal titolo "Con il fango e con la luce". In Congo invece è l'elemento umano che fa da protagonista, anche perché queste foto sono un addio: "addio in un quanto, pur esistendo ancora i BaBinga, ed essere ancora "piccoletti", dice il regista, la loro cultura, le loro tradizioni, sono ormai "perdute" per sempre. I BaBinga, come anche altri Pigmei, sono usciti dalla foresta per vivere accanto e con i Bantu, in un rapporto che li vede sicuramente perdenti. Con le fotografie ho documentato le ultime testimonianze di questo fragile microcosmo, di cui ho voluto cogliere la sua anima originaria."

    Nella foto in alto (gentilmente concessa dall'Autore come quella in basso), vediamo tre generazioni: il bambino, l'adolescente e l'adulto nel loro habitat tradizionale. Ma per quanto tempo? Superstiti testimoni di epoche antichissime, i pigmei Babinga continuano ad essere studiati soprattutto per definire gli elementi originari e genetici della loro civiltà, che probabilmente ha costituito il substrato africano preistorico nella vasta area del Sahara centrale, dagli altopiani orientali all'Atlantico. Furono poi respinti nelle aree forestali più impervie dall'espansione del gruppo negroide, parzialmente fondendosi con questo nelle aree marginali.

    Questi piccoli uomini sono dunque la testimonianza di quella che fu probabilmente la vita dei cacciatori-raccoglitori della preistoria. La buia e impraticabile foresta equatoriale ha contribuito a proteggere le loro caratteristiche. Oltre ai TYwa e Tswa, sostanzialmente pigmoidi anche se meticciati con elementi negroidi, si distinguono due raggruppamenti, considerati i più "puri": i Mbuti o Bambuti, suddivisi in alcune famiglie che nomadizzano nel bacino dell'Ituri, e i BaBinga o Binga, con  numerose tribù, praticamente sedentari nel bacino del basso Oubangui fino alla sua confluenza con il Congo.

    I Pigmei non vanno considerati semplicemente dei Neri in miniatura. Le loro caratteristiche somatiche e genetiche li collocano in un gruppo peculiare, con una propria differenziazione e una conformazione che per le proporzioni ricorda abbastanza da vicino quella di un bambino nella prima infanzia (fenomeno di isolamento o neotenia?): statura molto piccola (media oscillante da 1,37 m a 1,45 m); cranio tendenzialmente brachimorfo; pelle di colore giallo-rossiccio più o meno scuro, ma non nero; occhi castani; capelli corti e crespi; barba ben sviluppata; labbra pronunciate; naso decisamente platirrino; tronco relativamente lungo rispetto agli arti inferiori che appaiono brevi; arti superiori piuttosto lunghi, frequenza di un fattore glubulinico specifico e di gruppi sanguigni A e B più alta rispetto a quella del gruppo negroide, minore pelosità, presenza di un fattore glubulinico specifico, infine bassa incidenza di anemia falciforme.

    (foto Lucio Rosa)

    Ma le cose stanno cambiando repentinamente: l'impatto con altre civiltà sta fatalmente inquinando, come in altre parti del mondo, cultura e tradizioni. Eppure il cuore di Lucio Rosa è sempre là: "Io l’Africa la conosco dal di dentro, nel male e nel bene.** Ho evitato le bombe, sono stato boicottato, tanti miei progetti sono svaniti nel nulla... La prima volta che sono andato in Africa mi ha lasciato stordito. Amo i profumi, i colori, la gente dell’Africa. Erano sempre disposti ad aiutarci quando dovevamo girare. A cominciare dai Pigmei. Ma sta tutto cambiando purtroppo. Nella prima scena di un mio film, che mi ha chiesto Piero Angela, c’è un Pigmeo con l’arco e le frecce, nell’ultima c’è un Pigmeo con un fucile. Ho detto tutto".

    *Babinga, piccoli uomini della foresta - Italia - Regia: Lucio Rosa - Durata: 27’
    Anno di produzione: 1987 - Produzione: Studio Film Tv
    Consulenza scientifica: Lucio Rosa

    **Altri lavori di Lucio Rosa, gentilmente concessi per la mostra di Attilio Gaudio, sulle biblioteche del deserto, a Milano, nel 2008: Scrivere sulla sabbia
    Il Segno sulla Pietra (58') (2006)   -      Bilâd Chinqît - Il Paese di Chinguetti (59') (2004)


     
  • Costa d'Avorio, migrazione e miele

    Costa d'Avorio, migrazione e miele

       Secondo i dati delle autorità italiane e del ministero degli interni della Costa d'Avorio, almeno 1500 ivoriani sono censiti ogni mese sulle coste italiane. E un terzo dei migranti che arrivano in Italia provengono dall'ex colonia francese del golfo di Guinea. Passano da Daloa, nel centro-ovest del paese, o da San Pedro nel sud-ovest, diretti comunque in Libia per poi raggiungere l'Europa. Eppure la Costa d'Avorio, paese poco popoloso e ricco di materie prime agricole come caffè e cacao, esercita, a sua volta, una forte attrazione sugli africani stessi dei paesi confinanti: Togo, Benin, Burkina Faso, Mali, Guinea, Senegal.
    Questa immigrazione dai paesi della sotto-regione francofona era stata favorita dalla Francia. E per tre decenni questa politica liberale aveva dato il diritto  ai "fratelli" dell'Africa occidentale di avere accesso alla terra ivoriana, ai pubblici impieghi e persino a diverse elezioni.
    Il clima è progressivamente e profondamente cambiato. Se i giovani ivoriani sono attirati dall'Europa o dal Canada, i confinanti sono attirati per le stesse ragioni dalla Costa d'Avorio. In effetti, secondo il FMI, questo paese sarà leader nella regione in materia di crescita economica per i prossimi due anni, con cifre tra il 7% e l'8%. Tuttavia in alcune regioni periferiche il tasso di disoccupazione resta alto. Per gli immigrati è difficile trovare lavoro, e più facile entrare nelle spire della criminalità. 
    Gli sforzi dei paesi occidentali, insieme alle nazioni africane terra d'esportazione, dovrebbero favorire il legame tra i nativi e la loro terra, non il land grabbing o l'importazione di manodopera e di cervelli.
    Una piccola iniziativa esemplare da moltiplicare, per legare invece gli africani alla loro terra, è nata nel nord ovest della Costa d'Avorio a Kani, zona tropicale. Qui molti giovani di etnia mossi, provenienti dal Burkina Faso (ex Alto Volta) dove hanno abbandonato le terre d'origine, sono migrati per cercare un improbabile lavoro. Così un giovane missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), il brasiliano padre Valmir Manoel Dos Santos, ha lanciato un progetto di apicoltura!
    Si chiama "Wend Songda", cioè "onnipotenza di Dio" nella lingua mooré parlata dai mossi. Una piccola realtà in un contesto prevalentemente musulmano (90%), con 7-8% animisti, 2% cristiani e 1,5% cattolici. Con l'aiuto del consiglio parrocchiale di Kani, di alcuni esperti locali e della capitale Abidjan, (ma anche della Fondazione Pime) sono state installate cinquanta arnie e il miele verrà raccolto e commercializzato dalla cooperativa creata allo scopo. In effetti il miele è molto ricercato in tutto il paese, e nella zona la produzione è scarsa. Inoltre il progetto incoraggia anche l'autonomia oltre alla formazione, poiché una volta imparato il "mestiere", gli apicoltori, anche non cristiani, potranno lavorare anche in proprio, senza abbandonare la cooperativa.

  • 2016 Nigrizia: Libia e la sfida dell' IS

    2016 Nigrizia: Libia e la sfida dell' IS

    Come ogni martedì, Nigrizia organizza un incontro-dibattito-informazione su un argomento di attualità. Il 5 aprile 2016 (ore 20,30 – sala Africa dei Missionari Comboniani in Vicolo Pozzo 1, Verona) si parla di Libia, la sfida del Gruppo Stato Islamico. Sarà un dialogo tra il direttore di Nigrizia, p. Efrem Tresoldi, con il prof. Antonio M.Morone, ricercatore in Storia dell’Africa all’Università di Pavia. “La guerra non è il mezzo adeguato per sconfiggere il terrorismo del Gruppo Stato islamico (Is) né tantomeno per portare stabilità in Libia». È un passaggio del documento contro la guerra, lanciato il 9 marzo dalle riviste missionarie e dell’area nonviolenta.  

    “La Libia rappresenta il classico esempio - scrive Nigrizia- degli orrori occidentali, applicati nel sud del mondo. Con la complice collaborazione delle petromonarchie del Golfo e dell’Egitto." Orrori, quindi errori, smania di potere, di risorse, di territorio, di appalti. Si dimentica  “che la Libia, -continua Nigrizia- come l’abbiamo imparata a conoscere sugli traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarieatlanti, non esiste più.  Dopo 42 anni di tirannia gheddafiana, i poteri formali non contano più nulla. E quelli informali sono impegnati ad arraffare ciò che vale tra Sahara e Sahel: dai traffici illegali di armi, persone e droga, all’accesso alle risorse minerarie"..”  Tripoli, novembre 2009 (foto Mila C.G.)

    Sarà possibile una soluzione politica? L’obiettivo è la spartizione del paese tra le potenze interventiste e i loro referenti locali? E’ il momento di agire con la forza?  “Magari con l’avallo dell’Onu. - conclude Nigrizia- al di là dei vari schieramenti in campo (il governo di Tobruk e quello di Tripoli; laico il primo, islamista vicino ai Fratelli musulmani il secondo) e delle decine se non centinaia di bande armate che controllano più o meno grandi fette di territorio”.

    Per informazioni: Fondazione Nigrizia Onlus: 045.8092390 - Centro Missionario Diocesano: 045.8033519  - Missionari Comboniani -  37129 - Verona -Tel. 045.8092290 -www.fondazionenigrizia.it   www.nigrizia.it   www.museoafricano.org

     

     

     

     

  • Arti talismaniche a Milano

    Arti talismaniche a Milano

    Faccio seguito alla notizia pubblicata in Eventi  il 14 maggio 2021 (Arti talismaniche ... dal nord della Nigeria) a cura di Andrea Brigaglia* e Gigi Pezzoli*). Questa interessante mostra è ora allestita a Milano e resterà aperta fino al 22 gennaio 2022 (corso Buenos Aires 2, domenica e lunedì chiuso, altri giorni ore 10-12 e 15-17 - verificare orari apertura).

    Infatti così scrive Gigi Pezzoli: Cari Amici, diversi di voi ci hanno chiesto di poter vedere a Milano la mostra sulle arti talismaniche del Nord della Nigeria già presentata a Napoli nella scorsa primavera. Ci siamo riusciti. La mostra sarà inaugurata il 27 ottobre 2021, alle ore 18:00, presso la Galleria Lorenzelli Arte di Corso Buenos Aires 2, a Milano. Il titolo é invariato: Nel Nome di Dio Omnipotente - Arti talismaniche, pratiche di scrittura sacra e protettiva dal nord della Nigeria

                       

    Così Lorenzelli Arte continua la sua periodica programmazione di iniziative collaterali allo scopo di approfondire tematiche e ricerche sull’arte contemporanea, nella diffusione e confronto tra culture. Le sale espositive ospitano nel cuore di Milano una ricca serie di 80 opere inedite, appartenenti agli Hausa, un gruppo etnico di oltre 70 milioni di individui, stanziato tra il nord della Nigeria e il sud del Niger.
    Ci si immerge in un mondo di prevalente tradizione sufi, apparentemente lontano, ma che rimanda ad antiche pratiche protettive, divinatorie e taumaturgiche del Medio Oriente, del mondo greco-romano, della Cabala ebraica, fno all’alchimia occidentale medievale.

    La collezione si compone di autentici manoscritti religiosi e poetici, tavole utilizzate per lo studio e la memorizzazione del Corano, diplomi di completamento degli studi religiosi, tavole in legno e metallo per la protezione delle case e delle persone, oggetti simbolici come pelli e formule apotropaiche, esemplari di ricettari popolari sulle scienze esoteriche, talismani e oggetti per la divinazione.

    La ricerca ridimensiona una presunta magia soprannaturale africana, talvolta interpretata in accezione negativa dalla cultura occidentale. Interessante la creazione di un ponte tra magia e religione, intese come pratiche culturali di popoli solo apparentemente distanti, grazie anche al prezioso contributo di molti studiosi internazionali (Anastasia Grib, Constant Hamès, Aliyu Muhammadu Bunza, Elio Revera, Karimu Adejare Amao e Ismaila Abefe Bakare).

    *Andrea Brigaglia: ricercatore a tempo determinato (RTDB) presso il Dipartmento Asia, Africa e Mediterraneo dell’ Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Precedentemente, Senior Lecturer presso il Department of Religious Studies, University of Cape Town (Rep. Sudafricana). Nelle sue ricerche antropologiche, pubblicate in numerose riviste internazionali, si è occupato di aspetti storici, politici, letterari ed estetici dell’Islam contemporaneo in Nigeria. Ha curato insieme a Mauro Nobili, il volume TheArts and Crafs and Literacy: Islamic Manuscript Cultures in sub-Saharan Africa (De Gruyter, Berlin 2017).

    *Gigi Pezzoli: Presidente del Centro Studi Archeologia Africana presso il Museo di Storia Naturale di Milano. Membro del Comitato ordinatore del Museo degli Sguardi - Raccolte etnografche di Rimini. Responsabile della missione di ricerca in Togo del Centro Studi Archeologia Africana/Museo di Storia Naturale di Milano e del Ministère de la Culture du Togo/Université de Lomé. Membro del Comitato direttivo del Centro Studi di Storia delle Arti Africane - Università Internazionale dell’Arte di Firenze. Organizzatore di conferenze internazionali sulle culture dell’Africa. Curatore di diverse mostre e autore di pubblicazioni sull’antropologia e sull’arte tradizionale africana, tra cui la prima sulle tavole talismaniche Hausa, Alluna. Mondo e spiritualità Hausa (Centro Studi Archeologia Africana, Milano 2013).

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  • Homo naledi e Cheikh Anta Diop: due interrogativi

    Homo naledi e Cheikh Anta Diop: due interrogativi

    Settembre 2015 - La scienza non è dogmatica, ogni ipotesi deve essere considerata “vera” fino a quando non si dimostra il contrario. Così, mentre ci si interroga ancora sul colore della pelle dei Faraoni e dei loro sudditi (erano neri?), una nuova specie del genere Homo, con caratteristiche primitive e moderne insieme, è stata scoperta in Sudafrica. Un ritrovamento che potrebbe far riscrivere la storia dell'evoluzione della nostra specie?

  • Niger, rapimento di un missionario

    Niger, rapimento di un missionario

    A due mesi dal sequestro di padre Maccalli non c'è nessuna notizia certa su dove si trova, se è vivo e sui passi intrapresi per liberarlo. Un altro appello è stato lanciato dalla SMA (Società delle Missioni Africane, Genova, www.missioniafricane.it) a tutti coloro che hanno a cuore l'opera dei missionari>:

        "Un nostro missionario, padre Pier Luigi Maccalli, (originario della diocesi di Crema, già missionario in Costa d'Avorio) da più di un mese è nelle mani di ignoti rapitori, i quali non si sono fatti ancora vivi. Il rapimento è avvenuto nella sua missione di Bomoanga, nel sud-ovest del Niger, a pochi chilometri dalla frontiera con il Burkina Faso. Padre Gigi, come qui tutti lo chiamano affettuosamente, in undici anni ha fatto molto per la popolazione: scavo di pozzi, costruzione di scuole e ambulatori medici, formazione per i giovani contadini, istruzione degli adulti" mettendo insieme, come riferisce l'Agenzia Fides, "evangelizzazione e promozione umana; attento all'inculturazione, ha organizzato momenti di iniziazione in relazione con la circoncisione e l'escissione femminile. Può essere uno dei moventi per il rapimento, giunto una settimana dopo il suo rientro da un tempo di riposo in Italia». Infatti, attento alle problematiche legate alle culture locali, aveva organizzato incontri per affrontare temi sociali e contrastare pratiche legate alle tradizioni, come le mutilazioni genitali.

    La Missione cattolica dei Padri SMA si trova in zona Gourmancé (Sud-Ovest) alla frontiera con il Burkina Faso, nella prefettura di Makalondi, e a circa 125 chilometri dalla capitale Niamey. La Missione è presente dagli anni '90, e i villaggi visitati dai missionari sono più di venti, di cui dodici con piccole comunità cristiane, distanti dalla missione anche oltre 60 chilometri. "Da qualche mese la zona si trova in stato di urgenza - spiega padre Mauro Armanino, missionario SMA a Niamey - a causa della presenza di terroristi provenienti da Mali e Burkina Faso».  Testimoni riferiscono che uomini armati in moto hanno fatto irruzione nella missione, "lo hanno preso e portato via; il confratello indiano che vive con lui è riuscito a mettersi in salvo". E' plausibile che presunti jihadisti siano attivi nella zona, dove la povertà è strutturale, i problemi di salute e igiene enormi, l’analfabetismo diffuso e la carenza di acqua e di strutture scolastiche ingenti. La mancanza di strade e di altre vie di comunicazione, anche telefoniche, rendono la zona isolata e dimenticata.

    Dopo il rapimento – riferiscono dalla Curia della SMA – padre Maccalli è stato probabilmente portato al di là della frontiera. Nella confinante regione del Burkina Faso c’è, infatti, una vasta foresta in cui hanno le proprie basi i miliziani jihadisti. Attualmente la diocesi di Niamey ha inviato un gruppo di sacerdoti nel villaggio di padre Maccalli per verificare i fatti e per prendere contatti con la comunità locale. Un altro religioso italiano di una parrocchia vicina è stato fatto allontanare e ora è al sicuro a Niamey”.

    Poema per p. Gigi,
    di p. Paco Bautista, missionario SMA spagnolo

    Algún día, en alguna parte,
    todo será de otra manera.
    Mientras tanto
    bregamos con nuestras heridas,
    convivimos los miedos,
    los fracasos,
    gestionamos nuestros fantasmas
    en estos tiempos de crisis…

    Pero también
    sacamos lo mejor de nosotros
    porque creemos,
    contra toda evidencia,
    en la bondad innata
    de lo más sagrado
    que cada uno lleva dentro.

    Y apostamos por un mundo
    sin fronteras ni exclusiones,
    donde la verdad
    es el punto de salida
    para hacer nuevas todas las cosas.

    Porque algún día,
    en alguna parte,
    todo será de otra manera.

    Fraterno siempre

     

     
  • Libia 2: Il "ragazzo" con la Nikon

    Libia 2: Il "ragazzo" con la Nikon

      Con questo film, Il ragazzo con la Nikon * (vedi Libia 1), ovvero Libia, antiche architetture berbere, lo sguardo e la macchina fotografica di Lucio Rosa (archeologo, esperto di preistoria ed etnografia) si sofferma soprattutto su Ghadames, la romana Cydamus. Le prime notizie storiche risalgono al Regno di Augusto; fu occupata da Lucio Cornelio Balbo, diventando il punto più meridionale dell'impero romano, avamposto contro le tribù locali, Getuli e Garamanti. I Bizantini vi portarono il Cristianesimo e anche un vescovado. Poi nel VI secolo fu occupata dagli Arabi, che portarono l'Islam... ma l'atmosfera dell'antica città berbera è rimasta, coservata dagli anziani. Ghadamès è divisa in sette quartieri collegati ma autonomi, con propri edifici pubblici e mura; la sabbia si infiltra nelle fessure, nelle scarse aperture, si deposita nel viottoli. Così "il ragazzo con la Nikon" fa rivivere gli antichi quartieri e mercati, le ricche dimore, le torri e i minareti, i magazzini-fortezza per conservare i cereali, il labirinto di stradine sapientemente orientate per i venti e la luce. Incontra i rari passanti, che scivolano via quasi al buio, visita le abitazioni, ammira gli oggetti, le pareti bianche di calce con disegni geometrici  berberi e simboli esoterici, sale sulle terrazze delle case, sotto il cielo, il regno delle donne.

    Poi gli scatti immortalano il villaggio di Fursta: stretti sentieri si arrampicano sulle pendici del Jebel Nafusha, dove molti Berberi si installarono nel VII secolo in fuga dall'invasione araba. Case diroccate, porte divelte, un frantoio, una bianca  moschea che risalta  contro la  nuda montagna; all'interno, le colonne allineate, dai capitelli bizantini recuperati, reggono ancora la volta dell'oratorio. A Gsar al-Haj restano poche testimonianze, a parte lo straordinario "castello berbero", costruito nel XIII secolo da Abdallah Abu Jatla. E' un originale magazzino a forma di anello, le cui mura contengono oltre cento cellette su più livelli. In basso, parzialmente interrato, si conservava l'olio: più in alto, raggiungibili con scale e passaggi sopraelevati, le altre derrate alimentari.

    Anche la ricca oasi di Derdj è in rovina; l'imponente fortezza controllava dall'alta falesia a strapiombo sulla pianura il traffico di merci tra l'Africa Nera e il Mediterraneo. A Nalut invece è ben conservato il granaio per immagazzinare cereali e olio, una magnifica costruzione fortificata quattro secoli fa contro i Turchi. Infine Gsar Gharyan, a 600 metri di quota, con il suo "castello delle grotte". Le più antiche tribù berbere del'altopiano di Nafusah erano troglodite e scavavano case nel terreno alla profondità di 8-10 metri per proteggersi dal caldo e dal freddo: una serie di stanze e magazzini non più abitati, ma ancora oggi visitabili.

     *Regia, fotografia, montaggio, testi: Lucio e Anna Rosa- Durata: 30'  - Formato: Full HD 16:9

    © Studio Film Tv (pubblicazione foto gentilmente autorizzata dall'Autore)

  • La riscossa di Neandertal

    La riscossa di Neandertal

    Nuove scoperte in Spagna sono destinate a rivoluzionare la narrazione dell'evoluzione umana. Anche perché sino ad ora si pensava che il simbolismo fosse comparso in Africa, come segno caratteristico dell'Homo sapiens, che lo trasferì più tardi in Europa con le sue migrazioni.

    "Nella preistoria è sempre una battaglia contro le vecchie idee", commenta Michel Lorblanchet (Centro nazionale della ricerca scientifica francese, CNRS, professore emerito all'università di Tolosa), che ha partecipato a queste ricerche, ora pubblicate sulla rivista Science. Già nel 2012 l'esperto di arte rupestre aveva sostenuto che le pitture più antiche nelle grotte europee erano state scoperte in Spagna, e avrebbero più di 40.800 anni. Rimaneva aperta però la questione se quest'arte rupestre del Paleozoico sia stata o meno opera di uomini di Neandertal. 

    Un'équipe internazionale (università di Southampton, istituto Max Plank di antropologia evolutiva, CNRS francese ...) ha esplorato, studiato ed eseguito datazioni in tre grotte spagnole: la Cueva de la Pasiega (Cantabria), di Maltravieso (Estramadura) e di Ardales (Malaga).

    1) Cueva de la Pasiega, Cantabria (foto P. Saura)

      

    Questo motivo a forma di scala stilizzata è in realtà un "segno" secondo l'antropologia culturale, un simbolo non riconoscibile dalla sola esperienza, ma il risultato di una convenzione sociale. Le linee rosse verticali risalgono quasi con certezza a 64.000 anni fa.

    2) Cueva Maltravieso - Lo stesso si può dire per questa mano dipinta in negativo (a sinistra in situ, a destra fotografata con tecnica apposita), età minima 66.700 anni.

     

    3) I Neandertal coloravano anche le grotte. Nella Cueva de Ardales (Malaga), le colorazioni in ocra rosso, sono state datate con il metodo uranio-torio: 66.000 anni

      

    4) Infine nella Cueva de Maltravieso (Càceres- Estremadura) (Foto H.Collado), troviamo mani incise e dipinte (66.000 anni)

     

    Più di sessantaseimila anni! La capacità squisitamente umana che unisce simbolismo, intelligenza creativa e linguaggio sarebbe forse nata molto tempo prima di quanto si pensasse?  Eppure gli umani moderni (Homo sapiens sapiens) avrebbero abitato l'Europa solo circa 20.000 anni fa (per alcuni 40.000, provenienti da est), mentre l'Homo erectus avrebbe lasciato l'Africa 1,8 milioni di anni fa. Solo l'Homo sapiens neanderthalensis, ritenuto molto primitivo, abitava l'Europa.  Allora chi può aver realizzato queste opere? Le pitture, rosse o nere, con rappresentazioni di animali, punti, figure geometriche con mani (forse anche posteriori alla datazione) si trovano in tre grotte distanti tra loro settecento chilometri; il che indica un sentire comune, la percezione di un simbolo, la "lettura" condivisa da umani intelligenti.

    Questo significa che, se il sapiens moderno non c'era ancora, l'arte rupestre del Paleolitico è (sarebbe) da attribuirsi ai Neandertal, quell' Homo sapiens neanderthalensis che era l'unico abitante dell'Europa all'epoca (insieme ai Cro-Magnon provenienti però dal lontano oriente). Qualche studioso avanza già un'ipotesi: si tratterebbe di una sola specie di Homo sapiens con flusso genetico attraverso i continenti, tra "cugini", il sapiens antico e quello moderno. Del resto un'altra vecchia idea è crollata: i Neandertal non sono completamente scomparsi, sostituiti da H. sapiens sapiens. Oggi ciascuno di noi ha nel DNA il 2-3% di genoma neandertaliano, ma non tutti hanno la stessa porzione - quindi in totale si calcola che sia presente il 40-50% di DNA di Neandertal nell'umanità moderna.

    Come afferma uno dei principali studiosi di questa ricerca, Dirk Hoffmann (Istituto Max Planck)," La nascita della cultura materiale simbolica ...è uno dei principali pilastri del nostro essere umani", e finora era stata attribuita ai Neandertal in Europa di circa 40.000 - 50.000 anni fa, e solo limitatamente agli ornamenti corporei.

    Ma i primi manufatti simbolici, risalenti a 70.000 anni, sono stati trovati in Africa, e dall'Africa si stavano man mano diffondendo in tutta l'Europa presso i suoi abitanti dell'epoca: i Neandertal. Che non possono più essere considerati brutali e rozzi, incapaci di avere un comportamento simbolico. Invece bisogna riconoscere che sapevano creare immagini con un senso, scegliere i luoghi adatti, pianificare la sorgente di luce nella grotta, mescolare i pigmenti.
    (M.C.G.)

     

  • Persia: graffiti di cinquemila anni

    Persia: graffiti di cinquemila anni

    Un'équipe di archeologi ha scoperto nella regione di Isfahan, lungo il percorso di antiche vie di comunicazione commerciali, economiche e culturali, antiche rocce incise con vari segni e simboli, risalenti al terzo millennio a.C. (età del Bronzo) fino al periodo preislamico.

      incisioni a Meymeh

    Lo ha annunciato il capo della Isfahan's Cultural Heritage Organisation, Fereydoun Alahyari, sottilineando che si tratta delle prime manifestazioni, nella regione, di una forma di comunicazione non verbale e intuitiva tra popolazioni vicine preistoriche.

    E' durante le ricerche nelle città di Shahin Shahr e Meymeh, poi estese a Kashan, Ghamsar,  e Golpayegan verso nordest, che sono state fatte varie scoperte: un'antica collina del periodo sasanide (224-651 d.C., secondo impero persiano), una zona mineraria del periodo samanide (819-1005 d.C.), varie tombe  anch'esse preislamiche.

    Così, cinquemila anni fa, antiche strade collegavano -grazie alle indicazioni di queste pietre, conosciute come Negarkand- le economie e le civiltà degli abitanti dell'altipiano iraniano, ben prima dell'arrivo di altre popolazioni scese da nord.

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